“Una vittoria lenta, che giro dopo giro vedevo arrivare”. Si potrebbe riassumere con queste parole il ritorno alla vittoria di Marc Marquez in MotoGP, 1043 giorni dopo l’ultima volta. Una vittoria lenta; suona quasi come un ossimoro, perché il 93 ad Aragon ha siglato il giro veloce in gara, il record della pista al venerdì, la pole position in qualifica, la vittoria della Sprint al sabato, quando è rimasto in testa dal primo all’ultimo metro. Opera ascetica che ha replicato – spiaccicata – nel corso dei 23 passaggi del Gran Premio domenicale, quello vero, quello che Marquez voleva assolutamente afferrare, stringere a sé. Solo così avrebbe potuto separarsi dalla maledizione lunga tre anni, un digiuno dalla gloria che l’ha lentamente consumato, sfibrato, rendendo eterno persino l’agognato giorno del disincanto.
Un Grand Chelem del genere non riusciva a Marc Marquez da Motegi 2019, anno dell’ultimo titolo mondiale e ultima stagione in cui la griglia di partenza della MotoGP è stata irrimediabilmente soggiogata dall’impeto del 93. Un periodo all’apparenza lucente, che oggi – tuttavia – Marquez quasi rivaluta: “Nel 2019 il valore di una vittoria era niente, ora è enorme. Adesso vincere mi dà emozione, grinta. Le ho provate tutte per essere competitivo. Dopo mille giorni ti dimentichi cosa sia vincere. Penso che il mio corpo ancora non lo sappia. L’ho cercato tanto questo successo, scommettendo, lasciando la Honda e andando nel Team Gresini. Non pensavo tutto il giorno alla vittoria, chiaro, ma avevo quella voglia di vincere che mi ha aiutato tanto ad allenarmi, a non mollare mai”.
È soprattutto da queste confidenze di Marquez che nasce la tentazione di paragonare il suo ritorno alla vittoria a quello di Valentino Rossi undici anni fa. Aragon 2024 come Assen 2013. Valentino in Olanda tornò sul gradino più alto del podio 993 giorni dopo l’ultima gioia. In mezzo, un anno di sofferenza con una spalla che non smetteva di fare i capricci, ulteriori due in sella ad una Ducati con cui non funzionavano nemmeno le cattive maniere. Poi la scelta di tornare in Yamaha, quasi con la coda tra le gambe, solo per riassaporare quel gusto che appartiene esclusivamente alla vittoria. Un 2013 in cui Rossi fu per larghi tratti la quarta forza del campionato, un rendimento in linea con una stagione che sugli almanacchi verrebbe definita di assestamento: Valentino che paradossalmente deve ritrovare gli automatismi alla guida nelle prime posizioni, che deve fare i conti con avversari più giovani e portatori di una posizione in carena più moderna. Al Mugello si presentò con un casco speciale in cui la sua sagoma gialla e miniaturizzata tentava disperatamente di acchiappare quelle di Jorge Lorenzo, Daniel Pedrosa e – appunto – Marc Marquez. Poi, dal giovedì mattina di Assen – feudo del 46 dove ancora si gareggiava al sabato – Rossi lasciò intendere al mondo che l'imminente Gran Premio sarebbe stato solo suo: l’asfalto olandese sotto le sue ruote sembrò dal primo istante vellutato; vinse in solitaria, gestendo senza troppa fatica il vantaggio sul rookie Marquez.
Rossi ai tempi aveva 34 anni, Marquez oggi ne ha 31, ma la diplopia e le quattro operazioni al braccio restituiscono alla gente la sensazione di una carriera dilatata, già più anziana del normale. Ad Aragon, dove per una serie di coincidenze tecniche era parso lampante sin dai primissimi turni di prova che il 93 dovesse imporsi, Marc ha vinto in solitaria. Ha gestito senza ansie il vantaggio su Jorge Martín, ha interpretato l’asfalto nuovo del Motorland in maniera inimitabile per tutti gli altri. Due settimane fa, in Austria, tagliava il traguardo ai piedi del podio e consolidava la quarta posizione anche in classifica, ma dentro di sé sentiva che il lavoro sporco avrebbe presto pagato: “Ero tranquillo perché diverse volte in questa stagione sono stato vicino alla vittoria, dicevo ‘è impossibile che Jorge e Pecco mantengano questo livello per venti gare consecutive’. Alla fine è arrivata”.
Dal 2014 Valentino tornò a giocare per il titolo mondiale, Marc forse ci proverà già adesso, affacciandosi alla finestra di una stagione 2024 che ha ancora tanto da dire. Quello che conta, tuttavia, è che Marquez è tornato a vincere e, per la prima volta, ha parlato della vittoria con toni estremamente maturi, filosofici, quasi malinconici. Ha spiegato cosa significa vincere quando una serie di contingenze ti portano a credere che non ci sarà mai più occasione per provare quell’ebrezza lì, che un tempo davi per scontata. Quel gusto che magari dura solo mezza giornata, quel sapore unico che ha tenuto Valentino incollato all'asfalto della MotoGP fino a 42 anni. È ufficialmente cominciata la seconda fase della carriera di Marquez, sorge spontaneo chiedersi quanto durerà. Se somiglierà a quella di Rossi, riferimento da cui Marc – volente o nolente – non riesce a staccarsi.