Le foto dicono già tutto: un braccio martoriato dopo quattro interventi chirurgici. Sotto la (e sulla) pelle di Marc Marquez c’è il meno artistico dei tatuaggi, anche se la storia che racconta è probabilmente più intensa e profonda. Perché è la storia di un dolore grande, di una sofferenza prolungata e di un tentativo di rinascita che adesso è all’ultimo atto: quello in cui si capisce se sarà fallimento o meno. Anche se di fallimento non si potrà parlare mai davvero. Viene da dirlo anche rispetto al confronto con gli altri protagonisti della MotoGP, che si sono prestati a Under The Skin. E’ una serie, una sorta di challenge, in cui molti protagonisti delle corse hanno raccontato i segni che portano addosso. Con i tatuaggi che, di fatto, sono diventati protagonisti quasi per tutti.
Sia inteso, non che gli altri non abbiano cicatrici, ma quelle di Marc Marquez sono le più vistose. Probabilmente così vistose da far dire basta a chiunque. Tranne, appunto, a Marc Marquez. Che invece a dire basta non vuole pensarci e che all’idea di non salire più sul tetto del mondo non vuole rassegnarsi, neanche quando di mezzo c’è un sacco di dolore e pure quell’appagamento che otto titoli mondiali messi in tasca potrebbero far sentire.
Non intende rassegnarsi, ma non intende neanche far finta di niente. E l’otto volte campione del mondo l’ha ribadito ancora nell’ultima intervista: “Il mio braccio richiede attenzioni. Ho potuto fare un buon allenamento nella pausa e sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto nei test, ma è chiaro che questo braccio non sarà più lo stesso”.
Un modo per dire che la cicatrice più pericolosa è quella che è rimasta dentro, rispetto a quelle vistosissime che stanno fuori, con le quali, comunque, si riescono a fare i conti. Ecco perché quando Marquez afferma che realisticamente non sogna, almeno per l’inizio di questo 2024, una vittoria subito non sta mettendo le mani avanti. Sta semplicemente mostrando quella parte che fino a poco tempo fa aveva tenuto nascosta e che si chiama umana debolezza. Non l’umana debolezza di uno sconfitto o di un arreso, ma l’umana debolezza di chi ammette di fare i conti con i dubbi. Con quelle domande a cui solo la pista e il tempo che ci vorrà sapranno dare risposte. E in questo c’è anche il motivo di una scelta che in molti hanno considerato folle: lasciare la Honda ufficiale per una squadra satellite. Una squadra, la Gresini Racing, che ha sì una Ducati a disposizione, ma che forse è stata scelta per ciò che non si vede dietro a quella vistosa Ducati. Cioè l’ambiente, il clima che si respira, come unico vero rimedio non a vista per la cicatrice ancora nascosta. Fino a arrivare a dire: “E’ Gresini che s’è presa un rischio con me”. Ben sapendo, però, che se c’è un posto in MotoGP in cui potrebbero insegnare come si reagisce al dolore, quel posto è proprio il box Gresini. E probabilmente è questo, più della velocissima Desmosedici, che Marc Marquez ha cercato di andare a prendersi per dimostrare al mondo che a quelli come lui, e come i Gresini, può bastare anche un braccio solo. Non solo per vincere, ma anche semplicemente per accarezzare i sogni e, al limite, andare a prenderseli.