“Abbiamo fatto tutto perfetto”. Lo ha detto Valentino Rossi, dopo la sua prima volta nel WEC al volante della BMW M4 della squadra belga WRT. Una perfezione che, però, non è valsa il podio, con Rossi e gli altri dell’equipaggio che hanno dovuto accontentarsi della quarta piazza. Il quattro che ricorre, dunque, per il Dottore, alla vigilia del 4 più importante della sua vita: il 4 marzo. E’ in questa data, nel 2022, che è nata sua figlia Giulietta. La piccola Rossi, quindi, oggi ne fa due e in quel podio sfiorato c’è, in qualche modo, il regalo di babbo che fa ancora il pilota, ma che senza volerlo s’è ritrovato a confezionare un messaggio che suona di sport e genitorialità. Scherza sempre, Valentino, gioca ancora come quando era un ragazzino, anche adesso che lo vediamo spesso con quella bimba tra le braccia, o sopra a qualche minimoto o, ancora, sulla neve di Campiglio. Però c’è tanta serietà in quel “abbiamo fatto tutto perfetto”. La serietà di un babbo che ha imparato a prendere il bello, spiegando alla vigilia di un compleanno che a volte anche la perfezione non basta.
Proprio lui, abituato a vincere al punto di diventare leggenda, che con il sorriso in faccia, proprio pochi minuti dopo aver visto gli altri sul podio, ha abbracciato quella figlia che oggi fa due anni. Dicendole, ma senza dirglielo davvero, che va bene così.Ok, Vale non è il tipo da sermoni o predicozzi ai figli, ma nell’intervista in cui racconta di aver fatto tutto perfetto c’è, appunto, il cambiamento di un pilota che adesso è prima di tutto padre. E che si ritrova a commentare qualcosa che in altri tempi sarebbe stata molto simile a una delusione con una sorta di accettazione consapevole. Che non significa che bisogna accontentarsi, ma che – proprio come si vorrebbe sempre dire a un figlio – a volte serve il tempo per salire i gradini che contano. E che anche una quarta piazza alla vigilia di un quattro marzo può suonare di conquista grande e dono prezioso. Di insegnamento, insomma. Come a spiegare che anche quando si fa tutto benissimo c’è qualcuno che riesce a fare meglio, che sia per talento o per un mezzo tecnico migliore. E che superarsi, alla fine dei giochi, varrà sempre più di superare. Anche se per tutta la vita la mission è stata quella di mettere le ruote davanti agli altri.
E’ ancora così, anche se le ruote adesso sono il doppio, ma c’è un’altra maturità. Al punto di riconoscere, a 45 anni suonati, che ci si può approcciare sempre a tutto con lo spirito dei ragazzini. La stessa fame dei ragazzini. Ma con un’altra capacità di gestione di quella fame. Senza farsi mangiare da dentro, sedandola di volta in volta. Masticando lento, ma assaporando tutto. Senza alcuna foga, neanche quando si vive di corse e competizioni. Senza scadere nel ridicolo come chi con gli anni che ha non ci fa i conti mai. E nemmeno con le esperienze che dovrebbero aver segnato.
Giulietta oggi avrà certamente un bel po’ di doni da scartare, ma forse il migliore è quello che le è arrivato, appunto, da questo babbo speciale, ma del tutto nuovo, che si ritrova. Dentro una semplicità che ha Tavullia per teatro in cui essere e il mondo per palcoscenico in cui esprimersi. Anche attraverso messaggi mascherati da dichiarazioni di uno sportivo che non ha vinto. O, meglio, da dichiarazioni di un padre che sta insegnando – mentre lui stesso sta cercando di impararlo – che a volte la vittoria vera sta nella consapevolezza di aver dato il meglio, di aver fatto il meglio. E che per mettere i piedi a fianco di quelli che vincono c’è tempo. E, nel caso di una figlia, quel tempo è tutta la vita davanti.