I sorpassi in MotoGP stanno diventando un tema sempre più delicato. Se all’inizio erano i piloti con moto meno potenti ad accusare il problema - Mir e Quartararo su tutti - ormai la lista è sempre più nutrita. Lo ha detto Aleix Espargarò a Jerez e lo ha ripetuto Marc Marquez dopo la gara di Le Mans, chiusa con un sesto posto che non entusiasma nessuno. Anzi, lo spagnolo ha spiegato chiaramente che se non fossero caduti tre piloti davanti a lui (Bagnaia e la coppia di Suzuki) probabilmente avrebbe chiuso con una nona piazza. Poco importa se è ancora una volta il migliore dei piloti Honda, la moto non funziona come dovrebbe e la direzione tecnica della MotoGP non aiuta: “Adesso per superare devi essere molto aggressivo a causa dell’aerodinamica e di tutto il resto - ha raccontato Marquez in conferenza stampa - io l’ho detto anche in safety commission. La gente a casa vuole vedere i sorpassi e Quartararo per esempio era veloce ma non riusciva a superare, come è successo con Aleix a Jerez dietro a me e Miller: era più veloce ma non poteva passare”.
In breve: spesso e volentieri non conta più il passo gara, se il pilota davanti non sbaglia superarlo diventa quasi impossibile. Perché la velocità i piloti la trovano in percorrenza di curva, dove i giochi sono già fatti, e la MotoGP di oggi si decide sul ritmo gara quasi esclusivamente partendo davanti. Non solo, l’abbassatore livella ulteriormente le prestazioni in uscita di curva e le appendici aerodibamiche rendono le moto più veloci e stabili mentre l’effetto scia diventa più difficile da sfruttare. È il prezzo da pagare per avere moto sempre più evolute e vicine tra loro, direzione presa qualche anno fa con la gestione elettronica uguale per tutti. Il che avvicina la MotoGP di oggi alla Formula 1 degli ultimi tempi, dove strategie e mezzo meccanico giocano un ruolo molto più importante dell’estro. Con la differenza che in MotoGP si sbaglia più spesso e, quando succede, è più complicato rimediare. Le gare di oggi (quest’anno lo abbiamo visto sia a Jerez che a Le Mans) sono un gioco di nervi, psicologia, perfezionismo. Una guerra fredda in cui di sorpassi se ne vedono pochi, è vero, perché la prestazione tecnica è tutto. Lo diceva, anni fa, anche Valentino Rossi: una volta potevi giocare di strategia, aspettare il momento giusto, il lavoro delle gomme e della benzina, adesso sono 45 minuti di inferno con il gas a battuta. Meglio delle gare in stile endurance di qualche anno fa, quando la preoccupazione dei piloti era portare la mescola del posteriore fino alla fine, per carità. Oggi però i piloti hanno un unico concetto ben chiaro in testa: bisogna partire davanti. Il che significa lavorare tanto sulla qualifica, portare a casa un buon tempo in ogni turno di prova e soltanto poi sistemare il passo gara. Cosa che, quindi, impone di lavorare pochissimo sulla messa a punto. Le conclusioni? Chi - come Marc Marquez o Franco Morbidelli - non trova l'intesa con la moto è costretto a soffrire, ma se tutti vanno così forte avere un mezzo che fa un po’ meglio degli altri diventa fondamentale. E Ducati, guidata dalla filosofia di Gigi Dall’Igna, lo sa più che bene. Altrimenti Enea Bastianini non avrebbe vinto una gara partendo quinto dietro a Fabio Quartararo, che invece quarto è partito e quarto è arrivato.