“Honda deve lavorare duro sulla moto se vuole lottare per il campionato”. Sono queste le prime parole dette da Marc Marquez in un‘intervista rilasciata a MotoGP.com durante l’Honda Thanks Day. Il cambio manager - con cui Marquez lavora più sulla sua immagine - ha certamente influito, ma è indubbio che Marc abbia definitivamente aperto i rubinetti. D’altronde di tempo per tornare ai piani alti della MotoGP ce n’è sempre meno e Marc sembra aver capito che mostrarsi per quello che è, meno sorridente (e vincente) ma decisamente più vero. Così non si nasconde più, a partire dal problema al braccio: “Ogni anno pensi che sia quello giusto, ma vedremo. Io non so a che livello sarà il mio braccio destro, specialmente rispetto al sinistro. È pur sempre un braccio operato quattro volte, non sarà un braccio normale e questo inverno dovrò capire fin dove posso migliorare”.
Non solo, Marc aggiunge anche che nonostante i video in cui lo si vede saltare nel fango le su condizioni sono tutt’altro che buone: “Ho cominciato a riavere una vita normale un poco alla volta, per esempio giocando a padel: non ero bravo prima e adesso sono ancora più scarso. Sento ancora delle limitazioni, ma ad esempio sono tornato ad allenarmi nel cross. Però anche per quello è troppo presto, volevo capire soltanto dove fosse il limite. L’importante è che ad ogni settimana che passa mi sento un po’ meglio. Poi certo, arriverà il giorno in cui non vedrò più progressi e capiremo a che livello sarà il braccio”.
Non manca, a questo punto, un lungo spoiler sul documentario All-In, che verrà pubblicato a febbraio su Amazon Prime Video diviso in cinque episodi: “Abbiamo cominciato a girarlo a febbraio, marzo. L’obiettivo era raccontare il mio ritorno alla vittoria. Questo almeno era l’obiettivo del documentario, poi durante l’anno sono successe tante cose: la diplopia, il braccio, la chirurgia, il ritorno… È un’altra parte della vita d’atleta, già dal trailer si vede che mi sveglio dall’operazione ed erano già lì con la telecamera, penso sarà bello, la gente capirà un po’ più quello che significa fare il pilota. I ragazzi che hanno filmato il documentario mi hanno detto ‘ma questo è un film!’ perché è stato tutto inaspettato. Mi filmavano, facevamo interviste e mi e ne uscivo sempre un po’ come un supereroe”.
Poi continua, raccontando (per la seconda volta) di considerarsi un 'piccolo bastardo' in pista: “Prima era tutto vincere, vincere, vincere… ma sono umano e non è sempre il momento di vincere. A volte devi soffrire. La gente mi descrive con parole diverse, io mi sento un po’ un bastardo - in spagnolo è putilla, diciamo piccolo bastardo. Io cerco sempre il limite, ci gioco e mi piace farlo. In quel documentario mi vedrete anche piangere. Non è solo sorrisi e gioia, è un’altra parte di me. Non avevo mai aperto le porte di casa mia, sono sempre stato molto chiuso in questo perché ho sempre cercato di tenere per me la mia vita fuori dalle corse. Ma ho lavorato con un bel gruppo e sono riuscito ad aprirmi con loro”.