“Sono contentissimo. Sapevo che ero a posto, però ancora non ci credo diobò, perché ne sono successe talmente tante in questa stagione che stavo perdendo la speranza. Grazie per avermi aspettato ed averci creduto Paolone” – parole di uno stremato e felice Marco Simoncelli ai microfoni di Paolo Beltramo, nel parco chiuso del Gran Premio della Repubblica Ceca 2011.
Il primo podio in MotoGP del Sic si avverava undici anni fa, a Brno. Era una domenica in cui il sole cercava faticosamente un varco tra le nubi, mentre la Honda Gresini di Marco aveva trovato piuttosto agilmente lo spazio per infilare Jorge Lorenzo e conquistare la terza posizione. Era stato un sorpasso pulito, chirurgico. Una manovra che, in un colpo solo, aveva spazzato via tutte le polemiche di quella prima parte del 2011, con Marco che era stato messo sotto processo dai piloti spagnoli per la sua aggressività in pista, tanto da dover girare nel paddock di Barcellona con le guardie del corpo (in seguito al contatto di Le Mans con Pedrosa, che si ruppe una clavicola e vide andare in frantumi le sue speranze iridate)
Simoncelli a Brno aveva finalmente concluso una gara da pilota maturo, si era sbloccato mettendo in mostra – oltre alla velocità e ad un talento già cristallini – una sicurezza nella gestione delle fasi della corsa fino a quel momento sconosciuta. Perché Marco in quella stagione era caduto spessissimo, specialmente quando giocava per le prime posizioni. Peccava di irruenza, il Sic, e sul più bello si ritrovava nel ghiaione. Tirava su la visiera e tornava verso i box con quell’espressione un po' buffa e un po' compassionevole che ha Paperino quando Gastone gli sradica un’opportunità da sotto il naso. E, puntualmente, le immagini andavano ai box per cercare gli sguardi bassi e scoraggiati di Fausto Gresini e Aligi Deganello, capotecnico di Marco. Ma quella domenica, in Repubblica Ceca, le cose erano cambiate. Il Sic aveva spezzato la maledizione, era salito per la prima volta sul podio e tutti i piloti – da quella gara in avanti – avrebbero dovuto fare i conti anche con lui.
Lui, Marco, era di una felicità straripante. Al parco chiuso aveva festosamente abbracciato Andrea Dovizioso (il rivale di sempre), Paolo Beltramo (l’amico giornalista) e Carlo Pernat (il manager). Proprio Carletto ha rivelato che Simoncelli, per la stagione successiva, avrebbe avuto a disposizione una Honda factory, ufficiale a tutti gli effetti tranne che nella livrea (Marco sarebbe rimasto con i colori Gresini almeno per un’altra stagione, per poi passare in HRC). Durante quell’agosto 2011 – a detta di Pernat – il Sic aveva infatti concluso il contratto con Shūhei Nakamoto, numero uno di HRC. I due, nel motorhome di Marco, si erano accordati in pochi minuti comunicando uno in romagnolo e l’altro in giapponese senza che nessuno dovesse intervenire.
Nel 2012 la MotoGP sarebbe passata da prototipi di cilindrata 800cc a 1000cc. E chissà Marco, con moto più grandi e adatte alla sua stazza, cosa avrebbe potuto combinare. Quasi sicuramente, dopo aver bissato il podio di Brno in Australia, avrebbe vinto la sua prima gara. Con tutta probabilità, essendo nei piani di Honda, Marco avrebbe cambiato l'approdo di Marquez in MotoGP, dato che nel 2013 la line up ideale di HRC sarebbe stata Simoncelli–Pedrosa. Il Sic avrebbe raccolto l’eredità di Valentino Rossi.
I riccioli, la battuta pronta, la bontà d’animo, l’ingenuità e quel carattere che in Romagna riassumono nel termine patacca. C’erano tutti gli ingredienti, persino quei segni distintivi che pochi piloti hanno; tratti che restano indelebili nella memoria degli appassionati. Marco aveva due strisce rosse e una bianca sul casco, un leopardo sul retro, le gambe lunghe e il busto stretto, uno di quelli che in pista si riconosce all’istante. Perché il Sic era una persona d’altri tempi in un mondo che, proiettato verso il futuro, spesso si dimentica per strada la personalità, quel lato umano che evita un generale appiattimento verso il basso. Il Sic, tra tante cose, ci ha insegnato ad essere noi stessi. Ad esserlo oggi, senza condizionamenti né condizionali. Senza perdere il sorriso.