Marc Marquez è tornato. Dapprima esplosivo, velocissimo, poi più attento. Ha scelto di rientrare firmando uno scarico di responsabilità ai medici che lo volevano fermo fino a Jerez, ma non solo: è rientrato in un circuito che conosce poco e che - fra tutti - è forse il più impegnativo per il fisico. Le altre Honda sono sprofondate, una caduta a testa: Taka Nakagami ha dovuto arrendersi al dolore (ma forse correrà domenica partendo dal fondo), mentre Alex Marquez e Pol Espargarò partiranno rispettivamente 13° e 14°, primi esclusi dalla Q2.
Marc Marquez no, nonostante una gomma in meno (come Joan Mir, anche lui passato dalla Q1) ed un solo tentativo per l’attacco alla pole position ha chiuso con un 1’39.121, a poco più di due decimi da Fabio Quartararo, tempo che anche grazie alle penalizzazioni inferte a Bagnaia e Vinales gli permette di partire dalla sesta casella sulla griglia.
La gara farà storia a sé, perché in questi giorni lo spagnolo ha dimostrato di non aver ancora trovato una buona continuità, tuttavia ha già fatto abbastanza. Per lo spettacolo e per farci scrivere, ma soprattuto per sé stesso.
Ha consegnato alla MotoGP una spolverata di realismo magico, il genere letterario portato al mondo da uno che oggi, 7 anni fa, se ne andava per sempre: Gabriel García Márquez. Uno che scriveva, tra le altre cose, che “colui che aspetta molto può aspettarsi poco”. Ecco, aspettare troppo può essere un problema serio, come lo è stato anticipare i tempi l’anno scorso.
I due chissà, forse hanno anche qualcosa più di un cognome in comune. Perché Marc Marquez è andato, seppur di poco, oltre alle leggi che regolano le cose della vita. Contro i pareri dei tecnici, le aspettative dei colleghi, il fastidio che gli fa scuotere il braccio prima di lanciarsi su di una moto a 340 Km/h.
Marc Marquez è rinato a Portimaõ, perché a prescindere dal risultato di domenica è comunque andato di gran lunga oltre le aspettative. Con un po’ di magia alla Marquez. L’altro.