La vela ha il suo linguaggio, un’insieme di parole antiche dal suono profondo, come se si portassero dentro una storia: paranco, tormentina, amantiglio, opera viva, ombrinale. Eppure se c’è un tratto comune tra la gente che va per mare non è conoscere più parole degli altri, è poterne usare meno: molte cose le puoi capire a pelle, in silenzio. Sarà che l’acqua è un buon conduttore di idee, chissà. Ad ogni modo trovarsi davanti a Max Sirena è una splendida eccezione perché vorresti tenerlo inchiodato lì, al divano, a rispondere a un migliaio di dubbi, curiosità, piccoli irrisolti. Così, quando ci siamo incontrati con lui nel paddock del Montmelò, per la MotoGP, abbiamo dovuto fare selezione. Max durante il weekend di gara ha passato qualche ora in cabina di commento con Guido Meda, che il prossimo anno, per la seconda volta, racconterà la regata più celebre del globo su Sky. Max Sirena, che è nato a Rimini nel 1971 e i motori li respira da sempre, sta preparando la prossima Coppa America con Luna Rossa tra Cagliari e Barcellona, dove tra un anno questa antica quanto futuristica regata giungerà alla sua 37° edizione. Con lui ci chiudiamo in uno stanzino gentilmente offerto da Ducati.
Hai preso parte a Sette America’s Cup.
“Questa è l’ottava”.
Due le hai vinte: una con Oracle, nel 2013. Un’altra con New Zealand nel 2017. Ora, però, stai guidando Luna Rossa.
“Il sogno è quello lì. Questa è l’ottava Coppa America e sono andato in finale più volte, l’ho anche vinta più volte, eppure… vincerla con la bandiera italiana, con Luna Rossa - a cui devo tutta la mia carriera - è l’ultimo sogno che mi è rimasto quando penso allo sport”.
Sei nato a Rimini, davanti all’Adriatico: è questo che ti ha portato al mare?
“Nelle nostre zone o facevi il pilota, o giocavi a calcio… mia madre aveva un albergo, mentre mio padre faceva un lavoro per cui era sempre in giro per il mondo. Il posto più vicino in cui potevo fare danni senza dar fastidio era il mare e lì è nata la mia passione”.
È vero che hai cominciato con il windsurf?
“Mi piaceva molto perché si andava forte, si facevano i salti… poi piano piano ha cominciato a piacermi anche l’aspetto tecnico delle barche, non solo quello sportivo. Ho avuto la fortuna di andare in barca con delle persone che mi hanno fatto scattare la molla”.
Apprezzare la vela però non è così immediato: magari all’inizio pensi al fatto che non vai così forte, poi bisogna armarla…
“In realtà la prima volta che sono andato in barca avrò avuto sette, otto anni. Era un Sunfish, una vecchia deriva che veniva costruita negli anni Cinquanta. A me piaceva perché era una piccola forma di libertà, un po’ come quando prendi il motorino per la prima volta. Diventava qualcosa di magico perché ero da solo, parlavo da solo, cantavo… ero un po’ così, una libertà. Poi c’era il mito del navigatore, magari da Rimini andavo a Riccione o a Cattolica con ‘sta barchettina e tornavo che era buio, mi ricordo ancora le sgridate che prendevo! Però ecco, era un’avventura”.
Senti, ti ricordi il primo grosso spavento che hai preso in barca?
“Una volta ho tirato giù l’albero, per fortuna quel giorno c’era vento da mare e non vento da terra, perché da noi a volta c’è il famoso garbìn, (vento che porta verso il largo, ndr) soprattutto nei mesi invernali e primaverili, ma in un modo o nell’altro sono riuscito a tornare a terra. Però sai, in mare devi accettare che possa succedere qualcosa in qualsiasi momento e devi essere preparato a situazioni spiacevoli. In quei momenti devi essere lucido e trovare la soluzione migliore per tornare a terra. Per questo ritengo che andare per mare sia una bella accademia di vita, è una cosa che va oltre all’aspetto sportivo: ti insegna, ti mette a confronto con te stesso, impari i tuoi limiti, capisci su cosa devi lavorare, le tue paure, i tuoi punti di forza… È una bella scuola di vita per tutte le età”.
Probabilmente la cosa che unisce di più la barca a vela alla moto è il senso di libertà che sanno regalarti. Tu, come i piloti, rinunci un po’ a questa libertà per la prestazione. Come la vivi?
“Diciamo che uno abituato a correre vuole andare sempre più forte. Devi essere bravo a scindere i momenti, quando sei su di un mezzo per competere l’obiettivo è solo quello di andare più forte degli altri. E dev’essere così perché altrimenti arrivi secondo. E, a differenza delle moto o della Formula 1, in Coppa America non c’è il secondo. In Coppa America vince solo uno, non c’è il podio”.
D’altronde la coppa è “la coppa”, non c’è il plurale.
“Certo. Personalmente ho basato tutta la mia carriera sulla performance, volevo e voglio andare forte. Poi però quando ne ho l’opportunità mi piace andare con le persone a cui tengo, la mia famiglia per esempio, con una barca in cui riesco a godermi quello che ho intorno. Nel nostro lavoro, e poi succede anche in MotoGP, giri il mondo ma non vedi quasi nulla: è un susseguirsi di alberghi, porti e campi di regata, nient’altro. Così magari quando hai un po’ di tempo libero vai a vedere quel posto in cui sei andato a regatare, solo in un altro modo”.
A proposito: come gestisci il rapporto con la tua famiglia? Non dev’essere sempre facile.
“Intanto devi avere una persona accanto, nel mio caso mia moglie, che ti supporta. Perché effettivamente come tutti quelli che fanno un’attività ad altissimo livello il tempo per la vita privata è pochissimo, quindi devi avere una persona a fianco in grado di accettare la tua passione e l’amore per il lavoro che fai. Tu invece devi essere bravo nel poco tempo libero che hai a dare tutto indietro. È un po’ un dare e un avere, ma alla fine viviamo di emozioni e di passioni, non possiamo allontanarci più di tanto da questo”.
C’è questo designer piuttosto importante che dice così: faccio quello che sognavo da bambino, eppure la parte che amo davvero del mio lavoro sarà un dieci percento. Il resto sono noie, rotture. È così?
“È così. Sopratutto adesso che ho un ruolo di responsabilità molto più ampio rispetto a quando facevo soltanto il velista. A me piace il lato tecnico e sportivo del mio lavoro, tutta la parte di sviluppo, ricerca e design, anche andare a cercare nuovi progettisti, fornitori o tecnologie. La parte più pesante, che poi probabilmente è la più importante, è la gestione delle risorse umane. Ci devi dedicare molto tempo e se lavori bene lì ottieni dei risultati positivi. Poi ovviamente c’è tutta la parte di PR, ricerca sponsor… Magari sono aspetti meno affascinanti, però restano indispensabili”.
Come riconosci un buon velista?
“Diciamo che la parte più difficile all’interno di un team è trovare chi lavora alla parte progettuale, i bravi velisti lo sai quali sono, basta vedere i risultati. Può essere diverso se cresci uno dal niente, allora lo fai progredire cucendoti il vestito più adatto a te. Però diciamo che quello che guardi di più è l’atteggiamento, l’attitudine, l’approccio. Quando lavori in un team con più di cento persone deve essere chiaro a tutti che la rockstar è la squadra, non l’individuo. Quello è l’elemento che guardo di più”.
Come si esprime il talento in un velista? È l’intuito, la tecnica…
“Ognuno ha il suo talento: c’è magari chi è bravissimo ad andare veloce sul dritto, oppure chi è un fenomeno nella fase di partenza e ti mette la barca nella posizione migliore. Oppure c’è quello che ha un talento enorme nella gestione della regata. Dipende un po’ dalla strategia che vuoi adottare, ed è così anche dal punto di vista del disegno della barca: ne vuoi una all round, una veloce sul dritto o la migliore nel boat handling, quindi per il match racer puro? La realtà è che vuoi il migliore in tutto. Noi per esempio abbiamo un ragazzo giovanissimo (Marco Gradoni, ndr) che è un fenomeno assoluto, però va aiutato e indirizzato soprattutto a livello mentale e psicologico”.
Un velista veneziano dice che la poggia è maschio e l’orza è femmina. Che vuol dire?
Max ride di gusto: “Devo essere onesto, questa è la prima volta che la sento! Deduco che poggiare potrebbe essere maschio perché spingi… Ma non saprei eh, questa mi è abbastanza nuova...”.
Invece un istruttore a Caprera dice che il mare è in salita. Anche qui, ma che vuol dire?
“Eh, il mare è in salita ma dipende un po’ da dove vai. Però generalmente è vero, perché quasi sempre vai di bolina, o comunque passi molto più tempo in bolina che in poppa, perché in bolina vai più piano”.
Tu cosa ne pensi delle lunghe traversate in solitario in giro per il mondo?
“Mi piace molto navigare, mi piace molto l’oceano e l’ho fatto, però… io credo che la Coppa America sia la massima espressione della vela dal punto di vista sportivo e tecnologico. La ricerca che c’è in Coppa America è paragonabile a quella che viene fatta in Formula 1 o in MotoGP ed è una cosa che mi affascina tanto. Il fattore umano unito a quello tecnologico per me è il massimo. Poi sai, fare il giro del mondo in regata o in altri modi è bellissimo, un altro modo di andare per mare. Il problema è che generalmente tutte e due le cose non le riesci a fare contemporaneamente”.
Però magari un giorno…
“Sì, sì. Assolutamente”.
Andare per mare può insegnare moltissimo: il rispetto per qualcosa di più grande, l’arte di arrangiarsi, il fatto di non essere indispensabile al mondo, il bisogno di eliminare il superfluo… e chissà quante altre cose. Tra tutti questi concetti qual è che manca di più alla nostra società?
“Purtroppo io ho visto un grande degrado culturale, che forse è dovuto un po’ alla direzione che è stata presa a livello globale. Basta vedere i telefonini, tu cammini per strada e il novanta percento della gente è attaccata al cellulare e non si gode quello che ha attorno. Non godendo più del bello che ti offre la natura te lo perdi un po’. L’emozione che ti dà tuffarti in un mare limpido e pieno di pesci diventa quasi una cosa scontata. Ma soprattutto il telefonino, le ricerche che fai su internet… ti tolgono tutta la curiosità. Una volta per sapere dov’era un posto dovevi prendere un mappamondo o aprire un atlante. Oggi con Google ce l’hai così, quindi ti toglie il fascino della ricerca, la curiosità, il tempo. Questo in automatico ci ha portati a diventare irrispettosi della natura, perché non facciamo più attenzione alle cose importanti”.
Il telefono è come un fast food: hai tutto subito ma non ti sazia, non resta nulla.
“Ed è il motivo per cui ne diventi dipendente, hai sempre questa necessità perché hai sempre fame”.
A proposito di telefoni, su Instagram hai scritto così: “Quasi ex velista da corsa con il numero 04”. È una citazione di Valentino Rossi!
“Ah, ovviamente io sono innamorato di Valentino. È un idolo per me, anche se è più giovane di me è una persona speciale e credo inimitabile, a prescindere dal numero di titoli vinti in carriera. Però l’ho scritta perché sono stato velista da corsa come lo sono stati i piloti da corsa di una volta. Mi piaceva come frase, in barca adesso vado più in fase di sviluppo o faccio altre regate, ma non faccio più la Coppa America. Sai, il tempo passa. Però la passione e la voglia rimangono”.
Per quanto si faccia presto a cadere nella banalità, viene spontaneo pensare che vent’anni fa anche il mondo della vela fosse più crudo rispetto ad oggi.
“Era più un’avventura, tutto veniva vissuto in maniera più intensa. Però è sempre il solito discorso: ti piace di più andare veloce o piano? È sempre molto soggettivo, magari i piloti ti dicono che toglierebbero l’elettronica dalle moto, ma poi forse lo dicono perché fa bene dirlo. Valentino è uno che ha vissuto tutta la transizione, un po’ come me nella vela: io ho iniziato a regatare con le barche dislocanti fino ad arrivare alle barche volanti e sono emozioni anche queste, però alla fine penso solo ad andare forte. Se vai su di un oggetto più veloce alla fine godi di più”.
L’hai mai invitato in barca Valentino Rossi?
“Non c’è stata mai una vera occasione, però ovviamente sarebbe un onore averlo a bordo. Sono sicuro che gli piacerebbe salire su uno di questi oggetti”.
Cosa pensi del cambiamento climatico? probabilmente sei una delle persone più interessate a questa cosa. Ora per esempio state preparando la Coppa America a Barcellona e prevedere l’andamento dei venti sembra sempre più complicato.
“Magari in tanti hanno gli occhi bendati, ma è abbastanza palese che il cambiamento climatico è avvenuto, sta avvenendo e continuerà a peggiorare. C’è una famosa vignetta sull’inquinamento delle acque con un tizio che alza il mare come fosse un tappeto e butta l’immondizia sotto, sul fondo. Il Mediterraneo per chi va in barca a vela come me una volta era un mare particolarmente ventoso, oggi d’estate non c’è più vento. Vedi tonnellate di barche a vela che vanno a motore, per fare un esempio banale. Ma è un problema grave, globale e che è dovuto principalmente alle nazioni più industrializzate, che socialmente dovrebbero essere le più attente. Invece chiudiamo gli occhi di fronte all’ovvio. Credo che quello che ancora non abbiamo capito è che saremo noi ad estinguerci, la Terra si adatterà perché ha molto più tempo rispetto a noi”.
Tra un anno, qui a Barcellona, partirà la Coppa America. Luna Rossa dovrà essere una AC75 da 23 metri: come la state indirizzando? State cercando la velocità di punta, un buon handling…
“Allora, nella Coppa America un po’ come tutti gli sport in cui al centro c’è un veicolo altamente tecnologico devi avere il mezzo più veloce per vincere. I piloti, i timonieri e i velisti fanno la differenza in fase di sviluppo per dare gli input migliori ai progettisti, in modo che loro possano essere in grado di dare il meglio a livello progettuale. Devi lavorare su aerodinamica, sistemi di controllo, forma, carichi, parte strutturale: è tutto fondamentale per ottenere il mezzo più veloce”.
È incredibile il fatto che tutto il team, anche l’equipaggio, lavori allo sviluppo della barca: vanno a carteggiare, dipingere… è bello, una lezione per tutto il mondo dello sport.
“È fondamentale, ma come dicevo prima la rockstar è il team. Non c’è un velista che arriva cinque minuti prima di salire in barca, prende e parte e poi saluta. La barca la devi sentire sotto al culo, devi conoscerla. E per conoscerla e sentirla ci devi lavorare sopra. Poi è ovvio, abbiamo anche noi chi costruisce e modifica la barca, però tu devi essere parte integrante di quel processo”.
In telecronaca, durante le qualifiche della MotoGP, hai detto che guidare una barca volante è come fare l’amore con una bella donna.
“Alla fine sì, è vero, perché le emozioni che ti regala una barca in quel momento sono indescrivibili. Noi siamo privilegiati perché salire su di una barca volante che fa cinquanta nodi capita a pochi, è un’emozione unica difficile da descrivere”.
Chiudi gli occhi, racconta di com’è quando la barca prende il volo.
“Ma è molto semplice. È come conoscere una donna. Prima iniziano i preliminari, che nella vela sono settare la barca, capire quando è il momento. Poi ad un certo punto la barca si mette in assetto e ad un certo punto… vola. È il momento più bello che tu possa vivere”.