"Ricordatevi questo nome", dicevano tutti. Era il 3 ottobre 2014, al via del weekend di gara a Suzuka di dieci anni, e per la prima volta quel giovanissimo pilota olandese varcava le porte della Formula 1 per scendere in pista nella sua primissima sessione di prove libere della massima serie. Aveva diciassette anni e tre giorni, un esordio da record, biglietto da visita di una carriera che - non potevamo ancora saperlo - di record ne avrebbe distrutti molti altri. Il cognome, Verstappen, noto agli appassionati di Formula 1, lo stesso di papà Jos.
Il nome, Max, da imparare in fretta, in attesa di conoscere meglio il ragazzo sotto al casco, il pilota di cui tutti dicono meraviglie. Max che ha saltato tutti gli step, Max che non ha paura di niente, Max che tiene la schiena dritta e che non si lascia intimidire. "L'età è solo un numero" dice a chi gli chiede se forse, nella fretta di accaparrarsi il talento più cristallino della nuova generazione, Helmut Marko non abbia corso un rischio eccessivo a portarlo lì, a Suzuka, a diciassette anni appena compiuti. Non c'è spazio per l'attesa però, se ti chiami Verstappen. Lui, loro, lo sapevano già.
Ed è strano pensarci oggi, mentre fioriscono i ciliegi tra le curve di Suzuka, e la Formula 1 chiude un weekend di gara che si è spostato in primavera, alla quarta gara del campionato, ma che rappresenta per Max un anniversario importante: dieci anni da quell'esordio, una decade da quando quel ragazzino con le spalle dritte ha varcato le porte della Formula 1 per la prima volta in Giappone. E dieci anni dopo Max festeggia a modo suo, facendo quello che in questi anni ci ha dimostrato di poter fare in ogni occasione e in tutti i modi possibili, dominando o rimontando, gestendo o dimostrandosi il più aggressivo in pista: ha vinto. Ha vinto per la terza volta consecutiva a Suzuka, riprendendosi da quel weekend nero di Melbourne come lo scorso anno ha fatto dopo Singapore. Ha vinto riportando le gerarchie lì dove le conosciamo, in un mondo in cui Max Verstappen è leader incontrastato, volto e rovina di una Formula 1 che porta il suo nome, come quello di tutti i grandi che l'hanno dominata in passato.
Ha vinto in un momento in cui, più che mai, dimostrare la sua superiorità serve per il presente e per il futuro. Dal podio guarda in basso e vede Helmut Marko, l'uomo che per primo ha creduto in lui all'interno di Red Bull, che l'ha strappato a Toto Wolff, che gli ha dato un sedile - quello in Toro Rosso - quando aveva ancora meno di diciotto anni, e quando l'esperienza nelle monoposto era pochissima. Ha intravisto il talento puro, e ha fatto di tutto per proteggerlo in quei primi anni di errori, di foga, di critiche e domande. Ed è proprio a Helmut Marko che oggi Max è riconoscente più che mai, fermo al centro di una guerra di potere che destabilizza le condizioni sul futuro del campione del mondo. Resterà in Red Bull? Se ne andrà? E, se deciderà di lasciare, dove andrà?
Intanto respira, Max Verstappen. Si gode il successo e a quel futuro guarderà quando sarà costretto a farlo. Sorride a Penelope, la figlia della compagna Kelly Piquet, che da sotto al podio batte le mani e lo saluta felice. Lui appare più rilassato che mai, diverso da quel ragazzino imprendibile e incontenibili di dieci anni fa, ma alla fine sempre lo stesso. Segnato da un talento che lo ha sempre guidato in questi dieci anni di successi, mangiato dentro da una competitività che non lo lascia mai, neanche quando gli avversari sembrano essere troppo lontani per fare paura. È diverso, eppure è sempre lo stesso. Lì, a Suzuka, dove tutto è cominciato, e dove oggi è tornato a essere il migliore. Il nome, quello che ormai hanno imparato tutti, è diventato semplicemente impossibile da sbagliare: Max Verstappen, il più vincente della sua generazione. Forse, chissà, un giorno il più vincente di tutti. Per questo bisognerà aspettare, magari altri dieci anni.