Honda ai test di Barcellona ha portato aggiornamenti per la RC213V e Marc Marquez, mettendoci tnto del suo, ha vinto subito nella gara successiva; Ducati è evoluzione continua per la sua Desmosedici e quella moto, adesso, sembra capace di fare bene, o comunque contenere i danni, anche su circuiti in cui è sempre andata male; Aprilia ha un pilota solo, ma nonostante questo migliora ogni volta, con Aleix Espargarò che al Sachsenring è partito dalla prima fila; Suzuki in qualche modo si salva sempre in calcio d’angolo e KTM ha saputo compiere il miracolo di rendere supercompetitiva una moto che fino a sette gare fa sembrava totalmente sbagliata e fuori da ogni possibilità di lottare al vertice.
Yamaha? Yamaha boh! Ogni analisi è impossibile quando si tratta della M1: una moto senza rivali in Qatar e poi totalmente ridimensionata in tutte le gare successive, fino a rendere evidentissimo che tutto il buono che è arrivato è stato merito di un unico pilota. Quel Fabio Quartararo che è in vetta alla classifica mondiale, ma che probabilmente sarebbe riuscito ad esserci in maniera molto più netta se non avesse dovuto fare i conti con la sfortuna e con una M1 a cui è impossibile prendere le misure. Franco Morbidelli e Maverick Vinales penultimo e ultimo, con Valentino Rossi secondo degli yamahisti in pista sono la prova provata che a Iwata hanno smarrito la bussola. Ok, i piloti probabilmente c’entrano con Maverick Vinales che da un bel po’ sembra avere la testa altrove, Valentino Rossi che a 42 anni fa quello che può e Franco Morbidelli che, pur senza darlo a vedere, ha un megagalattico giramento di palle ogni volta che sale in sella ad una M1 vecchia di due anni che avrebbe dovuto chiamarsi “insensata ingiustizia”. Eppure a Barcellona, nei test, mentre tutti provavano e riprovavano nuovi materiali e componenti per migliorare le performance dei propri prototipi, quelli di Iwata hanno sì e no proposto una qualche piccola miglioria. Giusto per non farsi dire che non avevano portato nulla.
Valentino Rossi lo ha detto tra le righe, con la solita sorridente, ma sorniona, diplomazia. Maverick Vinales lo ha sottolineato a modo suo e Fabio Quartararo è sembrato giocare una partita a parte. La partita di uno che ha capito di poter contare solo su se stesso e di dover buttare ogni sacrosanto fine settimana di gara il cuore oltre l’ostacolo. Il terzo posto rimediato al Sachsenring è la prova provata che il francese riesce a guidare sopra i problemi. Ma anche che i problemi ci sono e sono pure piuttosto grossi per una moto impossibile da decifrare e che non fornisce certezze di sorta. Oltre a non evidenziare più, o almeno non più in maniera così netta, i suoi punti di forza.
È vero, essere primi nel mondiale probabilmente non aiuta a prendere seriamente coscienza che la M1 è tutto e il contrario di tutto e che, di certo, non è più la migliore del mazzo. E’ come se a Iwata regnasse una sorta di “sindrome dei migliori” che non riesce a schiodare i tecnici dei tre diapason dalla convinzione che la M1 sia la moto perfetta, al punto da far scendere in pista un vicecampione del mondo con quella di due anni prima. Solo che poi il vicecampione del mondo in questione e uno dei principali candidati al titolo di inizio stagione fanno penultimo e ultimo al Sachsenring. E un altro che sarà pure vecchio, ma non è certo un brocco con nove titoli mondiali sulla groppa e un nome consegnato alla leggenda, che si ritrova ad esultare per un quattordicesimo posto, dopo aver predicato per anni che la strada presa dalla Yamaha non avrebbe pagato. Il terzo posto di Fabio Quartararo in Germania è di Fabio Quartararo e non certo della sua Yamaha. Anzi, è letteralmente un terzo posto “nonostante la Yamaha”.
Da un lato il francese ha di che essere contento, perché – ammesso che ce ne sia stato davvero bisogno – sta confermando di essere un manico pazzesco, ma dall’altro ha anche di che essere preoccupato. Perché il vantaggio accumulato in classifica non è di quelli che ti fanno dormire sonni tranquilli e dover ogni volta guidare alla forsennata per sopperire ai problemi del mezzo, prima o poi, costerà uno zero in classifica. Da aggiungersi alle sfighe della sindrome compartimentale e della tuta che si è aperta.
Tutto questo mentre gli altri marchi, come scritto all’inizio, dimostrano di saper far crescere i rispettivi prototipi e di saperne migliorare le prestazioni a mondiale in corso. Con un marchio, quello italiano della Ducati, che si prepara, addirittura, a schierare ben otto Desmosedici nel prossimo anno di cui (se le indiscrezioni dovessero essere confermate) sei saranno tutte aggiornate all’ultima novità proposta da Borgo Panigale. Yamaha, invece, sembra riuscire a farne andare bene solo una alla volta. Magari è la politica giusta, magari vinceranno comunque il mondiale, ma sicuri che continuare a far finta che sia tutto al suo posto e tutto sotto controllo non si riveli un rischio troppo alto da correre?