Mick ha accarezzato il sogno. Quando entri in Formula 1 così giovane com'è successo a lui, accompagnato da un nome così importante come il suo e da una squadra - la Ferrari - dietro alle spalle, l'occasione per immaginare enormi passi avanti concentrati nell'arco di pochi metri è troppo preziosa, troppo vicina, per non concedersela. Sei arrivato lì, al sogno di sempre, ai venti numeri uno della classe regina.
E tutto allora sembra non solo possibile, ma anche realizzabile. Per uno come Mick Schumacher poi, che ha conosciuto fin da piccolissimo la carezza concreta del duro lavoro per raggiungere un risultato, l'impegno non è certo motivo di preoccupazione. Ha sempre visto suo padre cercare di essere il migliore, riuscirci, battendo record e raggiungendo obiettivi, per poi però continuare a migliorarsi ancora. Michael non ha mai lasciato niente al caso, non ha mai dato per scontato il suo talento, i suoi risultati, la sua squadra così come la sua famiglia. Di lui tutti hanno sempre detto, all'unanimità, la più grande delle verità: la dedizione, in qualsiasi cosa facesse, faceva parte del suo modo di vivere ogni giorno.
Mick ha respirato l'aria di una casa fatta anche di questo e così ha imparato ad essere: concreto, diligente, dedito alla sua passione. Quando allora quello che doveva essere il suo ingresso trionfale, il suo primo grande passo in Formula 1 con le due stagioni in Haas, si è concluso con la delusione di un contratto non rinnovato, il giovane Schumacher si è rimboccato le maniche. Ha valutato le sue possibilità, probabilmente venendo a capo anche dei limiti, e ha scelto quella che sulla carta poteva essere la sua miglior opzione: lasciare Ferrari, squadra con cui è cresciuto grazie all'Academy, e passare in Mercedes come terzo pilota alle spalle di Lewis Hamilton e George Russell.
Il futuro? L'obiettivo resta chiaro: tornare in Formula 1. Ma la strada è lunga e il percorso torna a essere la cosa più importante. Mick si mette al lavoro perché la squadra attraversa un periodo complesso, una stagione in salita fatta di una monoposto piena di aggiornamenti da portare, testare, capire. A Barcellona la prova del nove della prima parte del campionato per comprendere la direzione del progetto. Schumacher è fondamentale e sa di esserlo. Venerdì dopo un giorno di prove libere si mette al lavoro al simulatore e resta al volante a lungo, fino a notte fonda. Prova tutto, restituisce dati e impressioni.
Il sabato va bene, la domenica ancora di più. Gli aggiornamenti funzionato e George Russell e Lewis Hamilton conquistano il podio a Barcellona in una domenica tutta sorrisi e grandi speranze. I due inglesi ripetono, in momenti diversi del loro post gara, un grazie sentito: "Questo podio è anche di Mick, che ha lavorato duramente per costruire questo successo".
Un successo che è anche suo, di diritto. Lui che ha lavorato quando le telecamere erano spente, le tribune vuote, le luci dei riflettori puntate altrove. Il lavoro sporco, lo chiamerebbe qualcuno. Ma no, è lavoro di squadra. Dedizione, quella insegnata da papà Michael. Quella forte sulle spalle di un ragazzo che sa cosa vuole e sa quanto duramente dovrà lavorare, ancora una volta, per ottenerlo.
E per il momento allora eccolo, il suo podio. Terzo invisibile gradino accanto a quello di George Russell e Lewis Hamilton. Perché non sempre vediamo ogni cosa e quasi mai raccontiamo ogni fatica.