Sia chiaro: se lo è strameritato e il titolo è solo una battuta. O, meglio, una domanda e una considerazione – ironica, ma neanche tanto - sulla stagione di MotoGP che è finita (con una gara di anticipo) nel segno di Joan Mir e che era cominciata, invece, nel segno di Xavier Mir. Uno pilota, giovanissimo e di grande talento, l’altro medico, non più ragazzino e di grandissima esperienza. Uno, quello giovane, capace di non farsi prendere dalla foga e in grado di gestire l’enorme pressione che si è ritrovato sulle spalle, senza cedere di un millimetro, come se fosse un veterano della categoria. L’altro, quello meno giovane, che invece alla pressione ha ceduto, non certo sbagliando l’intervento chirurgico (non abbiamo le competenze per dirlo e non ci permetteremmo mai) di Marc Marquez, ma assecondando il campione di Cervera, o chi per lui, nella scelta di provare a tornare in pista dopo soli quattro giorni dalla sala operatoria. Tutta colpa di Xavier Mir? Assolutamente no: è chiaro che i fattori in campo sono stati tanti e tutti riconducibili, oltre che alla volontà del pilota, anche agli enormi interessi che suo malgrado gli gravitano intorno e che hanno inseguito l’idea dell’impresa eroica, del recupero miracoloso, del gesto straordinario che consacra per l’eternità.
Ecco, appunto, l’idea dell’impresa eroica, del miracolo, del gesto straordinario, rappresenta esattamente ciò da cui Joan Mir si è tenuto distante in questa stagione, scegliendo i piccoli passi, la concretezza, il ragionamento a dispetto delle emozioni e riuscendo comunque ad assecondare così la sua fame feroce. Non ha emozionato, ma ha vinto. O, ancora meglio, ha vinto emozionando in maniera differente. Ha vinto (fino ad ora), una sola gara e in griglia con lui ci sono almeno due piloti che ne hanno vinte il triplo. Hanno sciupato di più, sono stati, per carità, anche molto meno fortunati, ma alla fine è il risultato grosso che conta e quello se l’è messo in tasca il ventitreenne di Maiorca. E il fatto che Marc Marquez non fosse della partita è solo un dato oggettivo, innegabile, ma che non toglie nulla al valore dell’impresa centrata da Mir e Suzuki. Lo ha detto lo stesso Davide Brivio, lui sì uomo dei miracoli, anche ai microfoni di Sky Sport: “Joan ha vinto e nessuno potrà mai sapere con certezza come sarebbe andata con Marquez in pista. Gli infortuni, le assenze, gli stop fanno parte di questo sport e sentire che ci si continua a chiedere ‘eh ma se ci fosse stato Marquez’ è ingiusto. Di una cosa, però, sono certo, lavoreremo sodo per fare in modo che l’anno prossimo questo dubbio venga definitivamente fugato. Ci auguriamo che Marc Marquez possa tornare nel pieno della forma fisica e di poter lottare con lui”.
Saggezza, quella di Brivio, che chiude il sipario, ma che forse non c’era bisogno di tirargli fuori. Perché bastava l’evidenza e perché in fondo un mondiale non è così diverso da quello che accade nella vita. Dall’errore che mette fuorigioco, dalla voglia di strafare che fa scoprire il fianco, magari a favore di qualcuno che se ne avvantaggia, senza alcuna cattiveria e senza alcun intento di sciacallaggio, semplicemente giocando le sue carte in maniera migliore, più efficace e sacrosanta. Joan Mir ha vinto? Sì. Xavier Mir ha perso? Questa volta sì, anche se non è stato l’unico e soprattutto non è stato l’unico responsabile. Joan Mir ha vinto il mondiale che Xavier Mir ha perso? No, ha vinto, meritatamente, il mondiale che chi ha potuto essere in pista con lui dall’inizio alla fine non ha saputo contendergli e che, quindi, vale assolutamente quanto tutti gli altri mondiali.
Se siete arrivati fino a qui seguiteci anche su Facebook e su Instagram