Non potete neanche lontanamente immaginare quanto il sottoscritto sia stato tanto su di giri questa settimana. In pratica, come se il Mondiale l’avessi vinto io! E’ questo quel che accade e come ci si sente quando si è tanto legati da una sincera amicizia e stima reciproca. Soltanto chi ha respirato il Paddock, vivendo gli eventi in prima persona, può capire l’emozione e la gioia che provo nel raccontarvi oggi di Joan. Non il pilota che ormai il campionato ha consacrato. Sto parlando del ragazzo che sta diventando sempre più uomo.
Ho avuto la fortuna di iniziare la mia avventura (avevo da poco lasciato la Dorna) da press officer lo stesso giorno che Joan Mir metteva piede nel box della Moto3. Era il 7 febbraio, lo ricordo benissimo, si girava nella mia Barcellona (dove allora vivevo). Faceva un freddo cane e i tre piloti poterono completare a malapena per qualche giro. Gli altri due li avevo già seguiti l’anno precedente e scritto di loro, ma c’era lì quel ragazzino che veniva dal CEV, sul quale quel ‘genio maledetto’ di Lundberg (cui debbo molto a livello personale) aveva scommesso, decidendo di portarlo sul palcoscenico del motomondiale.
Dicono che i grandi Campioni si riconoscono da una luce tutta speciale che hanno negli occhi quando ti guardano, mentre parlano. Fu così il mio primo approccio con Joan: semplice e diretto. Testa bassa a studiare i dettagli, le traiettorie, molta telemetria, tanta voglia di imparare e poi tradurre tutte le informazioni in pista. Curioso e determinato, ha sempre avuto l’intelligenza e la capacità di leggere il momento e ironizzare, grazie anche alla vicinanza con i suoi due meccanici, che di lì a breve sarebbero stati ribattezzati ‘Tricky&Tricky’.
Non ho mai creduto che le cose accadano per caso, loro non facevano eccezione: erano destinati a incontrarsi ed a ricoprire un passaggio importante nelle loro vite. Il mio ricordo più bello è legato all’inizio della stagione 2017, agli albori di quella che ignoravamo si rivelasse una vera e propria cavalcata trionfale. Scaramanzia permettendo! Sì, perché in un team di italiani e spagnoli lascio immaginare che giochi un ruolo fondamentale.
Sino ad allora, il vincitore della prima gara a marzo non si era mai convertito nel Campione del Mondo a novembre. Ecco, noi atterravamo per il secondo round in Argentina venendo vittoriosi dall’esordio in Qatar. Ci sentivamo forti, consci del nostro potenziale, ma serviva confermare subito la leadership, per non perdersi in congetture perché la mente è prima avversaria, forse quella più difficile da battere. Ed è proprio lì che in Joan ho sempre visto la differenza con qualsiasi altro pilota della sua età.
In una delle lunghe attese in aeroporto (solo chi è stato a Termas de Rio Hondo sa bene che - senza voler esagerare - si tratta di un ‘viaggio della speranza’) ci eravamo fermati a mangiare un boccone tra uno scalo e un altro. Non so come, nella conversazione uscì fuori l’argomento del soprannome: tutti i piloti (bene o male) ne avevano uno, ma non Joan: vuoi per la breve carriera, vuoi per la brevità del suo cognome. Per il ruolo che ricoprivo, era mio compito farlo conoscere alle folle e, per quanto mi sforzassi, proprio non riuscivo a trovare una soluzione ad hoc. Ma, come detto prima, niente accade per caso e la vita a volte ti risponde senza che neanche te ne accorgi.
Io e Joan eravamo soliti salutarci cozzando il pugno, (in inglese questo saluto si dice “fist bump”, in italiano non lo so, ma ho reso l’idea…) ed ogni volta lui mi diceva: ‘Piano con quell’anello’. In effetti non era piccolo, era un regalo di un vecchio amico e non me lo tolgo mai, neanche adesso che sto digitando sulla tastiera. Quella sera mi fa: ‘Riesci a toglierlo? fammi vedere come mi sta’. Non me ne ricordavo, ma all’interno c’era la scritta “MIRACLE"… La radice era la stessa, tuttavia non mi era ancora chiara la parola né il contesto. Ci rimettiamo in viaggio e dopo qualche altro migliaio di km arriviamo stravolti in circuito. Una volta lì veniamo raggiunti da una notizia tremenda: un lutto familiare del suo telemetrista.
L’umore ci sprofonda di colpo sotto i piedi e si traduce nel 16° tempo in qualifica al sabato, ben lontano dalle aspettative di un team che ambisce al titolo. Nonostante il suo dolore, quel telemetrista (Joan lo chiamava imitando il dialetto romano ‘Abbrù’) decide di restare con il team e dopo cena i due si scambiano due parole in privato; Joan si congeda con una promessa: ‘Abbrù, non devi preoccuparti, perché io domani vinco la gara!’.
Ora, vincere è bellissimo, dominare non ve lo dico nemmeno, ma se c’è una cosa che più di tutte mi esalta, è la Rimonta. Da scrivere rigorosamente con R maiuscola perché è molto più di un gesto, è un’impresa nell’impresa, è la capacità di reagire partendo da una condizione inaspettata di svantaggio. Per vincere in Rimonta devi convincerti di essere anche più forte di quel che sei.
Pronti, via! La gara era di 21 giri, gliene bastarono 7. In appena 7 giri Joan Mir scavalca tutti e prende il comando della corsa. Gli avversari, gli stessi del Qatar, ci provano in tutti i modi, ma Joan gli risponde chiudendo tutte le porte e vincendo per poco più di 2 decimi. Una Rimonta che quasi faceva gridare al …miracolo. Aspettate un attimo: Miracle + Mir! Avevo trovato il nickname! Così per l’intera stagione 2017 Joan divenne per tutti gli appassionati #MiracleM1r, utilizzando il numero 1 negli hashtag all’interno del suo cognome da inserire nei post sui benedetti social network.
Sono passati tre anni da allora. E sapete, ho ancora quella canzone nelle orecchie quando penso a lui. Amava divorare film e non si staccava mai dal suo cuscino da viaggio e dalle sue cuffie enormi. Come tutti gli adolescenti, gli piacevano le hits del momento, ma nella sua personale playlist ce n’era una che non mancava mai e che amava ascoltare a tutto volume: Forever Young degli Alphaville. Mi ha fatto sempre pensare sta cosa. Un ragazzo, allora ventenne, che cantava di voler rimanere sempre giovane!
In questi ultimi sette giorni mi è riaffiorato alla mente un ulteriore ricordo. Dovuto alla cecità, per non dire stupidità, di sedicenti esperti delle 2 ruote che guardano ancora ai miti dei poster che tengono appesi in garage, senza interessarsi dei talenti che avanzano. Perché non riconoscere da lontano un talento cristallino come quello di Joan Mir è da ciechi o da stupidi. Non c’è altra spiegazione, purtroppo per loro.
Ancora una volta Joan mi ha dato la conferma della forza che sta nella sua testa. Non come ho letto ‘di non sentire la pressione’, perché lui la sente, bensì di saperci convivere e di rispondere alle critiche coi fatti. Zittendo i supposti esperti. Tre anni fa, a titolo ormai vinto con 2 gare d’anticipo dicevano: ‘E' un campione senza pole position’. E…[come eravamo soliti rispondere nel team] sti’ cazzi?
Joan, se per qualcuno non fosse ancora chiaro, è un vero e proprio animale da gara, studia l’avversario, azzanna nel momento giusto. E’ il prototipo del pilota moderno e completo. Nel caldo malese, dopo il trionfo australiano, Mir fece pole e vittoria, di colpo sparirono i ‘titoloni della mediocrità’. La storia si è ripetuta di nuovo nelle ultime settimane, trovando il suo lieto fine domenica scorsa. Vi confesso che io avevo una teoria tutta mia, che col passare del tempo si è andata traducendo in una sorta di deja-vù.
Qualcosa mi diceva che Joan avrebbe recuperato lo stallo iniziale dimostrandosi solido e soprattutto che avrebbe iniziato ad attaccare a partire da Valencia. Perché Aragon, è risaputo, è territorio di Rins, suo compagno di squadra; ma Mir senza scendere mai dal podio si è ritrovato lì in testa al mondiale. La sua unica colpa? Non aver vinto neanche una gara. Addirittura sono seguiti commenti se fosse stato giusto (o meno) assegnare un titolo così, senza neanche andarsi a informare del passato.
La vittoria in gara domenica scorsa, la sua prima nella classe regina MotoGP, approfittando dell’unico errore di Rins, é arrivata nel momento opportuno a legittimare il suo ruolo e la sua posizione. No, non l’ho potuto avvicinare in questi giorni per via delle procedure anti-Covid cui giustamente sono soggetti tutti gli addetti e le persone del Paddock. Ma sono sicuro che, davanti all’ennesima ridicola domanda, Joan abbia risposto con uno dei suoi soliti sorrisi beffardi. E con quella luce negli occhi da: ‘ora vi faccio vedere io’.
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