Luca Cordero di Montezemolo sarà sempre uno dei volti più riconoscibili della Ferrari. Presidente del Cavallino dal 1991 al 1994, Montezemolo è uno dei tre grandi protagonisti dei successi della scuderia in Formula 1 dei primi anni duemila: Michael Schumacher, il campione, Jean Todt, la mente del team, e lui. Il volto istituzionale, il presidente, e forse prima di ogni altra cosa il tifoso più grande della squadra italiana.
In una recente intervista lo stesso Montezemolo ha raccontato che, per colpa della Rossa e di due mondiali mancati, spaccò due televisori. Ora l'ex presidente torna a parlare di Formula 1 in una lunga intervista rilasciata a Tutto Sport, a cavallo tra passato e presente, dalle difficoltà ai successi, senza tirarsi indietro.
Perché nonostante siano ormai trascorsi quasi sette anni dal suo addio a Maranello, Montezemolo continua ad essere - per tutti - un simbolo della Ferrari: "Sa che c’è ancora gente che mi ferma per strada pensando che io sia ancora alla Ferrari? - ha spiegato nel corso dell'intervista - Le racconto un episodio accaduto quest’estate a Napoli. Cammino tranquillamente quando incontro un signore che mi ferma e mi fa tutto risoluto: ‘Perché non è a lavorare a Maranello con le figure che fate?’. Rispondo: ‘Guardi che da sei anni non ci sono più’. E lui, per tutta risposta: ‘A lavorare deve andare, fate delle figure da cioccolatai, ci vergogniamo!’. Quello che davvero mi manca più di tutto è la gente, l’ambiente della fabbrica, le riunioni per i nuovi prodotti con la squadra di Formula 1 per vedere come migliorano le cose".
Un episodio che mette in luce, oltre alla grande importanza avuta da Montezemolo negli anni, anche l'insoddisfazione dei ferraristi, un sentimento che l'ex presidente collega al 1991, periodo difficilissimo per la Rossa, e anno del suo arrivo a Maranello: "Era una cosa da far tremare i polsi. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che alla Ferrari, di lì a poco, scattò la cassa integrazione. Era un momento in cui si parlava di far fare alla Ferrari addirittura le cabine per i trattori. Insomma, non era semplice".
Poi, la scelta di un cambiamento radicale: "Nella prima riunione chiesi ai tecnici anche informazioni sui modelli: allora c’erano la 348 e la Testarossa. Parlando della 348 si sprecavano gli elogi. Ascoltai in silenzio e poi dissi: ‘Mi dispiace dovervelo dire ma veramente questa è una macchina che fa schifo. Ce l’ho. L’ho appena comprata. È la prima Ferrari che acquisto. E vi dirò di più. A Roma ad un semaforo avevo affiancato un ragazzo con una Golf GTI colore nero: quando è scattato il verde mi ha dato dei metri’. Feci provare la mia Ferrari anche a Niki Lauda e pure li rimase stupito da questa vettura che faceva tanto rumore ma rimaneva ferma".
Un cambiamento fondamentale anche nella sezione sportiva, dove la situazione della scuderia Ferrari in Formula 1 non era certo delle migliori: "In quel periodo c'erano due realtà: da una parte un'azienda con la cassaintegrazione perché vendeva poche macchine rispetto al numero di persone che lavoravano in fabbrica e dall'altra parte una grande crisi nella gestione sportiva. L'arrivo di Jean Todt, che io ho fortemente voluto, è stato il secondo passo. Il primo era rendersi conto che era necessario affrontare con il bisturi la situazione. Quindi avere la forza di fare delle scelte coraggiose. C'era da capire che, d'accordo l'aspetto delle corse, ma doveva essere messa a posto anche la parte industriale perché altrimenti la situazione sarebbe diventata davvero tragica".
Un percorso lungo e complesso, fatto di alti e bassi e di dubbi continui. I risultati, neanche con l'arrivo di Jean Todt, Ross Brawn e Michael Schumacher, arrivarono immediatamente, e i dubbi sulla correttezza del progetto non tardarono ad arrivare: "All’inizio di agosto del 1996 i vertici di Fiat, ma non l’Avvocato Agnelli, mi chiesero di allontanare Todt. Perché dissero che se dopo aver speso tanto per prendere un pilota come Schumacher ci si era ridotti a fare le figurette voleva dire che chi comandava non andava bene. Dissi no, se va via Todt vado via anche io".
La determinazione e la sicurezza con cui la Ferrari seppe gestire la situazione portarono ai grandi successi di Schumacher, periodo d'oro che Montezemolo ricorda ancora con grande commozione e gratitudine. Neanche il Kaiser però, senza la macchina giusta, sarebbe riuscito nell'impresa: "Se Schumacher fosse arrivato nel 1992 o nel 1993 non avrebbe potuto fare niente nemmeno lui".
Grandi ricordi, quelli di Montezemolo, che sono la speranza per la Ferrari di domani, incrociando le dita per il progetto 2022, e che - l'ex presidente non lo nasconde - quando riguarda le fotografie con Schumacher ancora gli fanno venire "il groppo in gola".