Le tempistiche sono più che discutibili, ed è vero che magari avrebbe potuto farlo anche prima, ma comunque, quali che siano, Roberto Mancini avrà avuto le sue buone ragioni per dimettersi da ct della Nazionale. Intanto, però, il dato è semplice: a meno di un mese da due sfide fondamentali per la qualificazione ai prossimi Europei e a neanche dieci giorni dopo averlo nominato coordinatore anche delle selezioni Under 21 e Under 20, la Figc si trova senza il ct della Nazionale di calcio. Quello stesso ct che, confermato dopo aver mancato l’obiettivo della seconda qualificazione consecutiva al Mondiale, all’Europeo ci sarebbe andato da campione uscente, certo, ma non proprio da favorito, anzi. Invece no, invece niente, e così la Figc si trova, di colpo, senza il ct della Nazionale maggiore maschile e senza la selezionatrice di quella femminile, perché anche il ruolo che fu di Milena Bertolini è oggi vacante, dopo la mediocre eliminazione ai gironi del Mondiale di Australia e Nuova Zelanda e le conseguenti dimissioni dell’allenatrice. La quale, peraltro, era diventata il capro espiatorio di una spedizione nella quale, al netto degli errori, era diventata – per quanto non nominata – il bersaglio di uno sfogo apparso sui social network delle giocatrici, quasi fosse un comunicato stampa di ammutinamento ex post. Una mossa spontanea delle giocatrici, ma che metteva a nudo una federazione allo sbando, anche comunicativo.
Del resto in Figc c’è poco da salvare. Certo i ricavi della federazione in quanto tale sono aumentati in era Gravina, e allo stesso modo il presidente federale da aprile è vicepresidente Uefa e questo porterà, quasi sicuramente, all’assegnazione (a metà) dell’Europeo 2032, ma che queste siano conquiste è tutto da vedere, dal momento che è piuttosto evidente quanto il calcio italiano, a livello di sistema, abbia perso di credibilità negli ultimi anni. Ora, posto che non è la federazione a governare la Serie A, ma considerando che la Figc ha sostanzialmente investito la Lega di A della golden share sul sistema calcistico italiano, e che i campionati nostrani siano diventando sempre più periferici rispetto a quelli di Inghilterra (ormai lontanissimi), Germania e di una Spagna pure in crisi, qualche domanda sulla gestione federale sarebbe il caso di porsela. Tanto più in un’estate – l’ennesima – nella quale a livello di Serie B (dove, a proposito, non c’è ancora l’organico completo delle partecipanti, e si inizia a giocare la prossima settimana) e Serie C (costantemente costretta a far fronte a fallimenti, ripescaggi, iscrizioni da valutare mille volte e varie altre amenità) i problemi sono imbarazzanti.
Ma imbarazzante è anche il tema della giustizia sportiva, che ha recentemente e più volte dato prova di necessitare di una riforma strutturale, e che lo stesso governo ha costretto a riorganizzare dal momento che, il 23 luglio, nel Decreto p.a. e sport è passato un emendamento secondo il quale dal 30 settembre i pubblici dipendenti nominati in posizioni apicali negli organi della giustizia sportiva sono collocati fuori ruolo o in aspettativa, con rimborso integrale a carico degli enti, e ciò avrà conseguenze in tutte le federazioni. E ancora: dall’ambiguità del caso plusvalenze al successivo commento di Gravina sul patteggiamento della Juventus (“il risultato più bello”, furono le parole di quest’ultimo) sino ai motivi delle dimissioni di Mancini, al presidente federale non sono mai mancate le stilettate del Ministro per lo Sport, Andrea Abodi. Gravina, però, è sempre andato avanti per la sua strada. In una recente intervista all’Espresso il presidente federale ha sostenuto fermamente di non sentirsi sulla graticola: “Non sono i detrattori che votano e io continuo a lavorare per il bene del calcio italiano. Io devo rispondere alla gente che continua a darmi fiducia, che crede in quello che stiamo facendo. Quando verrà meno questa fiducia, andrò via. Ma fino a quando questa fiducia ci sarà, io andrò avanti per la mia strada”, ha detto, sostenendo inoltre che le sue eventuali dimissioni scatenerebbero un effetto a catena: “Se mi dimettessi, farei un disastro sotto questo profilo. Quindi, mi chiedo: è un atto di responsabilità? Ha senso?”.
Sì, avrebbe senso. Perché è vero che Gravina ha una poltrona rilevante in seno all’Uefa, ma allo stesso modo ha puntato su un cavallo, Ceferin, la cui gestione muscolare è criticabile e rischiosa (in ballo c’è ancora la pronuncia della Corte di Giustizia Europea sul caso European Super League, e se per caso venissero accolte le ragioni di quest’ultima per lo sloveno e i suoi vassalli potrebbe essere la fine dell’impero), e che gli sta per concedere sì l’assegnazione di Euro 2032, ma attraverso una candidatura forzatamente riscritta in maniera congiunta con la Turchia, Paese a democrazia limitata che, tuttavia, ha esso stesso all’interno dell’Uefa una certa influenza e non avrebbe potuto, né sopportato, di vedersi sfilare l’ennesimo Europeo. Così anche l’ammodernamento degli stadi, che la candidatura singola dell’Italia avrebbe garantito (magari a costi esorbitanti per l’Erario, ma questo è un altro discorso), avverrà a metà, anzi meno. Ecco, anche qui: ha senso?