Risveglio rosso, in questa domenica italiana. Risveglio di un successo, quello di Charles Leclerc in Australia, che non è una vittoria come le altre.
Non c'è l'isteria collettiva di un primo posto sul podio quasi rubato, o l'adrenalina di una vittoria inaspettata. C'è la consapevolezza, negli occhi di un Charles che sorride guardando i suoi uomini sotto al podio. C'è la consapevolezza mentre in pista, davanti a tutti e già detentore del giro veloce, chiede agli uomini del muretto di poter girare più forte, di poter ottenere ancora il meglio.
Fa quasi sorridere la sua calma, mentre da casa i tifosi hanno perso il sonno e la parola. Un'Italia intera in apprensione, giro dopo giro, che cerca di imparare dalla sua tranquillità stoica. Quella che, negli anni difficili degli insuccessi rossi, non gli avevamo mai visto addosso.
Il Leclerc aggressivo, il Leclerc che sbaglia un po' troppo spesso, il Leclerc che ci mette l'anima e poi finisce a muro, dandosi dello stupido ma difendendosi sempre: "Lo faccio perché con questa macchina altrimenti non mi giocherei molto". E allora lo abbiamo imparato a conoscere così, disposto a perdere tutto pur di portare a casa qualcosa.
E abbiamo assistito ai primi dubbi delle persone sul talento cristallino di un ragazzo arrivato in Ferrari giovanissimo, con lo sguardo sempre malinconico di un bambino da Montecarlo, cresciuto con il rombo dei motori e il peso di un sogno più grande di lui: "Forse non è così forte - iniziavano a dire - forse Sainz è più pronto. Forse Verstappen e Hamilton stanno su un altro livello".
Ma forse, a Charles, serviva solo la consapevolezza. Perché il talento quello no, non è mai mancato. E il talento non si appanna con gli insuccessi, ma si forgia e accresce, se appartiene a qualcuno in grado di proteggerlo e conservarlo. Nelle bastonate di gioventù, sportive e personali, Leclerc non ha perso un guizzo, uno spunto, una singola speranza di poter vincere portando in alto il Cavallino.
Non lo ha fatto quando la vita gli ha messo davanti il dolore: la morte dell'amico Jules Bianchi prima, quella del padre poi. Il ricordo di quando Bianchi, davanti ai cancelli di Maranello, gli disse: "Lavora sodo e un giorno anche tu entrerai qui". La bugia detta al padre, poco prima di morire: "Ho firmato in Ferrari" quando ancora non era vero. E la certezza di non avergli mentito quando, un anno dopo, con Ferrari ha firmato davvero.
Sono tasselli di un puzzle che in questo inizio di mondiale ci restituiscono un'immagine nuova del monegasco. Prima del sogno di un successo stagionale, per cui è ancora troppo presto, prima di ogni punto conquistato o rubato agli avversari. Prima di tutto il resto in Charles Leclerc, nei team radio calmi e negli occhi felici, c'è questa consapevolezza nuova.
Che la corazza delle delusioni, dei dolori e dei dubbi, oggi è la sua più grande arma. E che il talento era lì, e proteggerlo da tutti è servito davvero.