Quando voi stavate sugli alberi noi eravamo già froci: è una frase antica e meravigliosa che si adatta benissimo al Marc Marquez di questa MotoGP. Magari a lui non piacerà, sta di fatto che Marc in questo ambiente è avanti e a tratti realmente lontano dagli altri piloti, perché capire le cose un secondo prima degli altri in uno sport che si gioca sui centesimi fa tutta la differenza del mondo. Te ne accorgi scorrendo i risultati, ma anche guardando la squadra che si è messa attorno a lui da subito, qualcuno in quel team potrebbe addirittura avergli chiesto un autografo.

Ad Austin, casa sua da sempre, Marc ha fatto tutto bene, partendo addirittura “negativo per non strafare”, come aveva detto in conferenza stampa lo scorso giovedì. Eppure nel primo turno del venerdì cade. Poi archivia la giornata in testa alla classifica, imbarazzante sugli altri, e si ripete il sabato con pole position prima e vittoria della Sprint poi. Anche qui mostra di aver rischiato, con la moto che quasi lo lancia per aria. Quando la domenica la Moto2 corre su una pista bagnata che comincia ad asciugare, un collega dice che a Marc fetano anche i galli, cioé che per lui pure loro fanno le uova. Perché in queste condizioni, incerte e difficilissime per tutti, lo sono un po’ meno per lui che ha dentro quell’istinto e quella velocità di pensiero con cui riesce a fare la scelta giusta un momento prima degli altri.
La scelta, in questo caso, è lasciare la griglia di partenza a due minuti dal via per correre nel box a prendere la seconda moto, quella da asciutto. Una strategia che Marc Marquez prepara col suo capotecnico, Marco Rigamonti, a sette minuti dal via. Quando lui comincia a correre verso la pit lane gli altri lo seguono e pare una partenza stile Le Mans mandata al contrario, con i piloti che corrono via dalle loro moto. È il caos, la direzione gara decide di dare una nuova procedura di partenza e così Marc neutralizza il vantaggio di chi aveva scelto dal principio la gomma d’asciutto, che sembrava l’unico modo - partire con la gomma slick mentre lui aveva la rain - per fregarlo in una domenica come questa.
Altro giro di schieramento, stavolta Marc non riesce a inserire l’abbassatore. Succede perché la taratura delle sospensioni, dato le staccate violentissime del COTA e l’assetto da asciutto della moto, richiedono grande decisione per innestare il sistema. La manovra gli riesce a trenta centimetri dalla casella, praticamente un miracolo.

Nel primo giro mette tra sé e il fratello un secondo abbondante. Poi amministra, viaggia intorno ai due e mezzo e quando scivola a metà della esse, al nono giro, per essere salito troppo sul cordolo ancora umido. Perché? Perché stava diventando troppo facile, troppo normale, finisci per distrarti perché la MotoGP non è mai normale, checché se ne dica queste moto non si guidano da sole, anzi. Non ci fai un giro buono neanche da solo se non pensi sempre ed esattamente a quello che stai facendo.
Marc Marquez lo vedi tutto in quello che succede dopo, quando rialza la moto dopo la caduta e fa quattro giri con una pedana sola, ultimo, senza il freno posteriore e con la gamba destra che penzola ai trecento orari. Il primo giro lo fa perché ci crede, esattamente come a Jerez nel 2020: tornare su forte, scrivere l’impresa, fregarli tutti ancora una volta più forte del destino. Si scambia la posizione con Savadori e Vinales prima, Somkiat Chantra poi. Ha gli occhi che lampeggiano. Di quei quattro giri, uno gli sarà servito a capire che era finita e gli altri tre a calmarsi, a mettersi nell’ordine di idee di tornare a casa senza il premio grosso e una striscia di successi massacrante per gli avversari. Eppure nessuno prende una moto col cupolino sfondato, una pedana mozzata e chissà quanti altri problemi per provare a recuperare.
Uno come lui non ne avrebbe bisogno. Eppure Marc Marquez è tutto lì, in quei quattro giri, perché a lui lo sport è dalla 125 che gli ha insegnato a provarci sempre, perché così ci ha vinto le gare e i mondiali e perché tutto è meglio di uno zero. “La vita è così”, ha detto a Sky Sport MotoGP dopo la gara. “Ieri non ero Super Marc e oggi non sono uno st… è stato un disastro, sì. Ma sono contento, il livello era lì. So perché sono caduto”. Mette qualche parolina in spagnolo, la tensione è ancora lì.
Questo è Marc Marquez al suo meglio, capace di tutto: cinque vittorie in fila per poi rovinarsi dove non poteva sbagliare. Il manubrio largo di Austin, quello col numero uno che ti danno assieme al cappello, ce l’ha Francesco Bagnaia. Che probabilmente ha capito una cosa fondamentale del suo compagno di squadra: è partito alla grande, ha sfruttato il momento, le condizioni e una grande rapidità di adattamento ma non sta vincendo con una mano sola. Fa errori anche lui, questa è la MotoGP per tutti bellezza. La sensazione è che Marc abbia lavorato duro per farlo sembrare facile, alla bohemien.
Tra due settimane, in Qatar, vedremo la prima pista favorevole a Pecco da quando è iniziato il mondiale, poi Jerez che lo aiuterà ancora. Ora, attorno a questo regalo Bagnaia deve fare due cose: continuare a pensare che questo è il miglior inizio di sempre e, soprattutto, godersi il momento. Perché di regali come questo da Marc Marquez non ne avrà più molti.
Marc invece può essere contento e lo sa: è il primo avversario di sé stesso.
