I Pink Floyd hanno suonato in Piazza San Marco a Venezia, la mia città. Era il 15 luglio del 1989, festa del Redentore. I Pitura Freska celebrarono l’evento scrivendo Pin Floi, la cronaca definitiva di quella serata fuori misura. E nei bacari, le osterie veneziane, c’è ancora qualcuno che racconta la storia di quel giorno, perfezionata di volta in volta in trent’anni di repliche. Raccontano di come tutto fosse sregolato, folle, fuori misura. La festa delle feste, l’evento della vita. Ma io nel 1989 non c’ero, e qualcuno dovrebbe inventare una parola per spiegare quel mescolarsi di invidia e curiosità che ci assale nell’ascoltare un racconto di questi.
Quando è morto Diego Armando Maradona è stata la stessa cosa. Chi l’ha visto giocare lo racconta come un Dio pagano che fa l’amore col pallone, magari al San Paolo. Non c’ero nemmeno lì, quando Maradona ha conosciuto il calcio e l’ha sposato a Napoli: eppure qualcuno ha vissuto quel breve, irripetibile momento definitivo. Penso anche alla Dakar di una volta, alle storie fuori dal mondo raccontate da qualche giornalista finito tra le dune del deserto africano. Storie che finiscono puntualmente con un canonico ‘erano altri tempi’, detto però con il ghigno di chi li ha vissuti.
Valentino Rossi ha fatto la stessa cosa per migliaia di persone. Ha dato loro un qualcosa da raccontare, un momento irripetibile e per questo preziosissimo. La gente va alle gare per questo. Accende la TV, compra i cappellini e si scanna sui social per questo. Perché a quarant’anni non vince, ma se vince è un piccolo cimelio per chi, in un modo o nell’altro, c’era.
Ho visto Valentino Rossi vincere al Mugello nel 2008, in quella che ad oggi è l’ultima delle sue 9 vittorie sul circuito toscano e con quello che (forse) è il casco speciale più riuscito che si sia mai visto in testa ad un pilota. Ero alla Casanova - Savelli, al primo anno di quella che sarebbe diventata una tradizione di famiglia. Mio padre, che aveva pagato i biglietti e con cui non c’era un rapporto idilliaco, fumava un toscano dietro l’altro sbracciandosi come il peggiore degli ultras. Lui, che a tavola predicava libri sotto le ascelle per stare composti e che i pantaloni corti non li ha mai messi nella sua vita da adulto, era a fianco a me ad urlare fragorosamente. In 125 vince Simone Corsi, e per la prima volta quel giorno suona l’Inno di Mameli. In 250 è il turno di Marco Simoncelli, dopo una folle battaglia con Hector Barberà che si conclude con la caduta di quest’ultimo. È la prima vittoria del Sic con la quarto di litro, festeggiata impennando per tutto il rettilineo.
In MotoGP Valentino vince con tre secondi e mezzo su Stoner, arrivando a quota 91 vittorie e superando Angel Nieto in quella speciale classifica edificata per i fuoriclasse. La voce di Giovanni Di Pillo riempie l’aria e carica l’atmosfera, ti fa sentire parte di qualcosa di grandioso. Ringo traduce in un inglese telegrafico ma di grande effetto. E attorno è follia, invasione di pista e cori da stadio. Chi portava le motoseghe al tempo non lo faceva per i social, lo faceva per fare casino. C’era gente che la gara non la vedeva neanche a causa dei postumi del sabato. Succede ancora, ma è ormai una categoria protetta.
Valentino Rossi fa questo effetto, e vederlo correre a 42 anni è come un concerto dei Rolling Stones. Suonano ancora e lo fanno per divertirsi, perché lo fanno da una vita e non riescono a smettere. A settant’anni Mick Jagger si muove come un dannato sul palco, instancabile, cantando quelle canzoni lì con quella voce lì. Valentino esce dal box, si inchina alla moto, entra in pista. E se sei lì è un momento speciale, perché vedi qualcosa che non può essere ripetuto in nessun altro luogo da nessun altro essere umano. Non contano il tifo e la bravura, è tutto nel personaggio. E mentre si sistema la tuta entrando in pista, tuta che nel 2021 sarà di un inedito verde, puoi pensare a tutto quello che è successo. Ai sorpassi, alle interviste e alle gare più belle. E dire che, in un modo o nell’altro, hai vissuto un pezzetto di quella storia, tra le colline del Mugello in un primo giugno di sole.