C’è tutta una generazione di piloti cresciuta con meno elettronica che è ancora rappresentata in MotoGP e che, quando serve, riesce a venire fuori. E’ la più scontata, e ormai quasi banale, delle affermazioni che si sentono nel paddock e tra gli appassionati e in questo 2025 diventa anche difficilmente sostenibile se si considera il dominio di Marc Marquez, che sì appartiene esattamente a quella generazione lì, ma è Marc Marquez e non certo uno qualsiasi. Solo che in questo 2025 sta venendo fuori, come in una seconda giovinezza, anche Johann Zarco, nonostante una moto che non è affatto perfetta e nonostante l’anagrafe dica che di quell’età lì non ce ne sono altri in pista. La Honda è rinata e adesso è una moto super competitiva? Probabilmente no, altrimenti anche gli altri piloti se la sarebbero giocata coi primi e l’anno scorso avrebbero messo in fila qualche punto in più (invece ne hanno fatti, insieme, meno di quelli che Zarco ha fatto da sol). E guardare Marc Marquez, ma ancora di più Johann Zarco oggi, porta alla stessa conclusione di quella affermazione scontata: la MotoGP è un paese per “vecchi”. Inteso come piloti che hanno la capacità di guidare sopra i problemi e non, quindi, come atleti che hanno bisogno della perfezione per trovare la performance. Attenzione, non è il solito discorso sull’era meglio prima o è meglio adesso, ma è, semmai, uno spunto per accorgersi di quanto anche le corse siano cambiate e di come , però, sia mutuato il peso specifico del talento.

E’, in qualche modo, anche quello che ha detto Johann Zarco, nell’ultima intervista a cuore aperto rilasciata a GP Racing: “Oggi un solo pilota, per quanto talentuoso, non basta più”. E’ vero e serve un mezzo tecnico che metta nelle condizioni di esprimere il talento: se qualcosa non gira come dovrebbe, allora anche il pilota finisce nei guai. I piloti di oggi, però, mentre dal passato sono ancora in pista alcuni di quelli che “riescono comunque a salvarsi sempre ricorrendo a una capacità che forse è scomparsa dai box: l’adattamento. “Personalmente – ha spiegato ancora Zarco – ho dovuto rendermi conto della necessità di vedere le cose in maniera differente, aprendo nuove porte. Mi sono detto che posso ancora contare sulle qualità che mi hanno permesso di vincere le gare, ma ora devo svilupparne altre per adattarmi a ciò che mi viene offerto e entrare nella fascia di prestazioni delle moto odierne. Bisogna avere nuove convinzioni”.
Un passaggio, quello di Zarco, che avrebbe potuto tranquillamente sottoscrivere anche Marc Marquez. E che, probabilmente, spiega perché, ora che il 93 ha una moto quasi perfetta, non ci sia più partita per nessuno. La differenza sta esattamente in quel “quasi”, che per i piloti moderni (da Maverick Vinales in posi) è visto come un limite, mentre per quelli della generazione precedente riesce a essere addirittura risorsa. Vale per Marquez e vale anche per Zarco in Honda. E non è, quindi, solo questione di esperienza. “Sono i cambiamenti, alla fine dei conti, che ti permettono di migliorare e crescere perché ti mettono nelle condizioni di adeguarti e tirare fuori il meglio dallo scenario in cui ti trovi” – ha detto ancora il francese.
L’esperienza, semmai, riguarda altri aspetti dell’essere pilota e, nel caso di Zarco, riguarda una scoperta: quella di mitigarsi. Qualcosa che ha imparato a fare solo adesso che ha già una certa età, con il francese che sorride ripensando a alcuni episodi del passato. “Non rifarei molte cose – ha ammesso – In particolare non rifarei mai e poi mai quello che ho fatto in 125 a Misano, quando provai a bloccare Terol con la mano dopo una gara incredibile (qui sotto il video). Ma io in quegli anni pesavo solo a diventare un guerriero, a essere aggressivo. Forse avrei potuto gestire meglio anche il mio approdo in MotoGP e accettare di diventare subito un pilota Honda. O, ancora, avrei potuto gestire in maniera differente il mio periodo in KTM, ma quelli erano tempi in cui ragionavo molto meno di adesso”.