Jake Paul è in questo momento uno dei personaggi più odiati al mondo, sicuramente lo è nell'ambiente dello sport e del pugilato. Un odio che il ragazzo di Cleveland ha trasformato a suo vantaggio, lo ha cavalcato e lo ha amplificato per diventare ancora più famoso, fare ancora più soldi. Dei 60 milioni di spettatori collegati su Netflix per vedere il suo match contro Anthony Joshua, una buona parte erano incollati allo schermo solo per vedere Paul picchiato, brutalizzato dal britannico. L'ex star di Disney Channel lo sa bene, e di quel pugno che gli ha fratturato la mandibola in due punti ha fatto una bandiera. L'immagine è diventata la sua nuova foto profilo su tutti i social. Una sconfitta per la boxe, un gioco pericoloso quanto remunerativo, ma proviamo a staccarci un attimo dal moralismo in cui tutti, noi compresi, siamo caduti nel giudicare Jake Paul. Va riconosciuta a Paul una certa dose di coraggio. Sapeva benissimo a cosa andava incontro sfidando un atleta come Joshua. Chiamiamolo coraggio, chiamiamola arroganza, è stato guascone fino alla fine, agnello sacrificale sull'altare dei soldi e dello show. Si è fatto fratturare la mandibola in cambio del contenuto e dei soldi, ma lo ha fatto spinto da un'indubbia dedizione e passione per lo sport che pratica.
Jake Paul è la deriva estrema del sogno americano. Il self made man in preda al delirio di onnipotenza. Chi di noi, diventando ricco, non proverebbe a diventare un campione? Chi non vorrebbe riempire le arene, affollare gli streaming, soprattutto se questo è remunerato da oltre 90 milioni di dollari. Lo scrive lo stesso Paul sul suo Instagram, in un post che racchiude a pieno lo sfarzo e l'opulenza. Paul è sul suo jet privato, circondato da armi, mazzette di contanti e borse di brand di lusso. La didascalia recita: “Il sogno americano. Inizia il tuo oggi. Credici. Fallisci. Lavora. Fallisci. Impara. Fallisci. Non fermarti mai.”.
Non è un caso che anche il Presidente Donald Trump abbia lodato pubblicamente il coraggio del suo connazionale. Joshua vs Paul è stato un esperimento sociale. Cosa succederebbe se prendessimo un uomo senza particolare talento e doti fisiche, gli dessimo il miglior allenamento possibile e lo mettessimo sul ring contro un ex campione? Ecco la risposta, una fuga di sei round e una mandibola fratturata. Ma in quanti non avrebbero voluto indossare quei guantoni al Kaseya Center di Miami. La realtà è che Jake Paul è quello che molti di noi sognano ma non hanno la forza di essere. Se ne sbatte di tutto, delle critiche e insegue quello che sognava di essere da bambino. Lo fa grazie ai soldi? Sì, ma è la fotografia, grottesca ed esagerata, dei tempi che viviamo. Il riflesso di un mondo, nello sport come nella vita, dove i soldi vincono sui valori. Dove non conta fare una cosa quanto ostentarla, farla vedere al mondo. Oggi Paul si ritira dal pugilato. Ma è un ritiro che già prepara un ritorno, un copione già scritto. È lo sport che diventa spettacolo, lo spettacolo che diventa business. Ma la colpa non è sua, la colpa è di chi alimenta questo sistema. Di chi allontana lo sport dai suoi valori. È lo stesso meccanismo che porta i Mondiali in Qatar, le Supercoppe nel deserto e le esibizioni milionarie. Lo sport non segue più il suo pubblico, è il denaro che decide dove e come lo sport deve esistere. Jake Paul non è un'anomalia, è un prodotto del sistema e ha solo deciso di abbracciare la contemporaneità, e per questo ha vinto lui...