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Ok, Jannik Sinner è molto meglio di Banksy, dei Daft Punk e dei moralistoni che lo criticano

  • di Bruno Giurato Bruno Giurato

15 aprile 2024

Ok, Jannik Sinner è molto meglio di Banksy, dei Daft Punk e dei moralistoni che lo criticano
La strategia del campione di San Candido: dire il meno possibile, fare il più possibile. Nonostante le apparenze Sinner non è pop. Non è mediatico. Non è social. È un lavoratore della racchetta, un artigiano dello sport. E proprio per questo è molto più d'avanguardia di altri e più rivoluzionario di chi gli fa la morale

di Bruno Giurato Bruno Giurato

Può vincere o perdere ma la cosa più bella di Sinner è che è uno sportivo old skool. Quasi un manovale old skool. Uno che, di base, non ha granché da dire perché ha altro da fare. Il che lo rende interessante molto più di qualsiasi cosa i commentatori dello sportivo-Sinner, del fenomeno-Sinner possano raccontare (incluse queste righe naturalmente). Sinner parla ma è come se non parlasse, fa le sue conferenze stampa come chi deve, ma non dice mai molto. Quasi niente. Sinner non polemizza con l’arbitro che pure, forse, gli ha levato dalle mani il titolo a Montecarlo. Ma come? Hai l’occasione di prendertela con l’arbitro e non ti ci butti? In Italia poi: dall’invenzione della pallapiede in poi non si danno casi di tanta raffinatissima sprezzatura.

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E poi Sinner non è pop. Non vuole giocare a ping-pong con le Iene, cortesemente rifiuta. Non vuole andare a Sanremo, rifiuta le profferte di Amadeus, della Rai, e del coro di intellettualoni che hanno dimenticato i lavori da fare (tipo leggere, studiare, scrivere libri) e passano il tempo a commentare sui social, tipo, Sanremo o la guerra in Ucraina senza saperne niente, e da intellettuali spesso risultano più cretini di qualsiasi hater carogna.

Ecco Sinner non commenta. Appunto Sinner non sta sui social (che palle i social), non fa comunicazione (che palle la comunicazione), non fa mai polemica (che palle la polemica). Non si lamenta (e che palle le lamentele). Fa pubblicità, sì, ma anche quella come disbrigo di doveri professionali.

Dal punto di vista rappresentativo l’oggetto Sinner è un qualcosa di cui si parla molto ma che non risponde quasi a niente. La statua di un santo che si esprime attraverso hapax, eccezioni, discontinuità, miracoli, e infatti la più bella definizione sui di lui l’ha data un giornale inglese: “Sinner The Saint”.

Viene il sospetto che sia cortese per disimpegno. Tiene l’ombrello alla raccattapalle, procura l’acqua alla la spettatrice che ha un malore, e non lo fa per farsi notare. Lo fa perché si fa e basta. Forse, in fondo, lo fa per farsi dimenticare.

Paradosso per paradosso, il motto di Sinner, del suo fare senza dire niente di speciale, potrebbe essere un titolo dei Radiohead: “How to disappear completely”, come sparire completamente; gli riesce perfettamente facendosi vedere quello che a certi artisti d’avanguardia come da Banksy o ai Daft Punk, riesce solo in parte e senza farsi vedere. Questi ultimi cercano la fama usando l’assenza, lui in fondo cerca l’anonimato usando la presenza. Molto più originale. Molto più autoriale e artigianale. Da manovali oldskool.

 

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