Ha ceduto il rigore al compagno di squadra Gundogan nell’ultima partita del Manchester City, mandando su tutte le furie Pep Guardiola. Il tecnico spagnolo sa benissimo che Erling Haaland è una macchina da gol. Uno che con una palla produce tre reti in area di rigore. Deve evolversi, partecipare di più al gioco, ma senza mai dimenticare la sua missione, cioè segnare. Segnare sempre, praticamente in ogni partita. Anche stasera contro il Real Madrid, semifinale di andata di Champions League: per Pep è un derby, ci tiene particolarmente. Erling è avvisato, Ancelotti pure. Sono oltre 50 i timbri stagionali di Haaland, che ha stracciato il primato di reti (35) in Premier League che apparteneva a una leggenda del football britannico come Alan Shearer e all’ex punta del Manchester United, Andy Cole. Tra l’altro, il norvegese batte il primato al primo anno nell’ultra competitivo torneo inglese, dopo aver bersagliato le porte in Austria e nel campionato tedesco. Ha iniziato alla prima giornata, si è preso solo un paio di turni di pausa, poi la grandinata non ha conosciuto eccezioni.
Beve latte, dorme parecchio, mette i muscoli sotto ghiaccio, gioca alla PlayStation. Quando dorme, indossa un dispositivo che misura i parametri vitali, che gli indica eventuali disturbi, con indicazioni sull’idratazione. Ogni tanto il padre Alf, ex difensore anche al Manchester City, pare gli cucini le lasagne, che ha provato in prima persona di recente tra Modena e Bologna. Sempre meglio del cuore e fegato di mucca, le prelibatezze norvegesi di cui va matto, assieme al baccalà. È la sintesi forse superficiale ma anche attinente alla realtà che Haaland regala all’opinione pubblica. Una specie di robot programmato per andare a segno, una specie di Ivan Drago (più che Robocop) nato con una corazza gigantesca e l’indole di un ragazzino che quasi non crede a quello che si ritrova intorno. Della sua vita privata si sa poco o nulla, i tabloid britannici, sempre alla ricerca di dettagli piccanti, per ora hanno sparato a salve.
È decisamente il simbolo della nuova generazione del calcio mondiale. Assieme a Kylian Mbappè, è destinato a prendersi il trono di Messi e Ronaldo, anche se il Pallone d’Oro finirà alla Pulce, perché per il premio sono decisivi i titoli di squadra e Messi ha (finalmente) vinto i Mondiali. Forse non è armonico. I suoi movimenti sono un concentrato di potenza ed esplosività, per la grazia forse è meglio ripassare, anzi accettare che il norvegese non possiede l’eleganza di Benzema o Lewandowski, ma basta e avanza. Per chi segue principalmente il campionato italiano: Haaland è la sintesi di Vieri e Adriano, il fisico del bomber italiano e il calcio del brasiliano. In verità, è pure sottovalutato nelle sue letture offensive: sa smarcarsi nel breve, in poche parole “vede” il gioco e in questo senso le lezioni di Guardiola possono solo renderlo più forte di quel che è già ora.
Guardiola lo ha voluto al City perché mancava un terminale offensivo per dare sbocco alla produzione del suo calcio, l’ex tiki-taka ora evoluto in un calcio più orizzontale, più adatto ai ritmi esasperati della Premier: dopo aver provato a rivedere il codice genetico di Haaland, Pep si è adeguato: si gioca per il norvegese, palla in verticale e cross in area e la capacità della sua squadra di arretrare il baricentro e lasciare campo, metri, progressioni di Haaland, che quando tira praticamente piega in due la sfera. E segna sempre lui, ormai è una sentenza.