Sul banco degli imputati del disastro Italia c’è il CT Luciano Spalletti ma c’è anche, e soprattutto, Gabriele Gravina, il potente presidente della FIGC. È lui l’uomo che nel 2018, dopo l’addio di Tavecchio per la mancata qualificazione ai Mondiali russi, era stato chiamato a riformare il calcio italiano. In sei anni, di riforme non se ne sono viste; abbiamo vinto un Europeo, fallito un’altra qualificazione ai Mondiali e ottenuto un’ulteriore delusione pochi giorni fa. Sei anni di comando in cui nessuno dei grandi problemi sistemici del calcio italiano è stato affrontato o risolto (basta pensare alla lotta al razzismo, finora limitata a vuoti slogan e nessuna azione concreta, a differenza di quanto accade nel resto d’Europa). Eppure, Gravina è sempre lì. O almeno, lo sarà fino al 4 novembre, dato che lunedì il presidente ha convocato le elezioni anticipate (il suo mandato scadrebbe a marzo 2025), proprio pochi giorni dopo aver detto che le richieste di dimissioni dall’esterno erano inaccettabili. Una mossa “alla Macron”, secondo molti: Gravina vuole anticipare i rivali, andare subito alle urne per consolidare la propria posizione, ora traballante. Certo, vista com’è andata di recente al Presidente della Repubblica francese, forse non si tratta della strategia più saggia per conservare la propria poltrona. Dal suo canto, se non altro, Gravina sa di poter contare su un sistema che lo favorisce.
Come si elegge il presidente della FIGC: il peso dei piccoli
Quella per la massima carica del calcio italiano è un’elezione molto particolare: votano 276 persone, che rappresentano 7 differenti categorie (le quattro leghe principali, dalla A alla D; gli atleti, gli allenatori e gli arbitri), ed esprimono in proporzione 516 voti elettorali. Vale a dire che non tutti i voti valgono allo stesso modo: quelli dei delegati della Serie A pesano più di tutti (per la precisione 3,1).
Eppure, nonostante questo non è davvero la Serie A a decidere chi viene eletto, ma paradossalmente la Lega Nazionale Dilettanti, il livello più basso del calcio federale. I delegati di questa lega, infatti, sommano la quota più alta di voti elettorali, cioè 176: chi ha l’appoggio dei Dilettanti, generalmente vince le elezioni. Non è un caso che, prima di Gravina, lo scranno presidenziale era occupato da Carlo Tavecchio, dirigente poco noto al grande pubblico, non particolarmente gradito dai professionisti, ma di enorme influenza sul calcio dilettantistico in quanto presidente della LND.
Chi supporta Gravina
L’origine del potere di Gravina arriva da qui. Alle scorse elezioni, tenutesi a febbraio 2021, l’attuale presidente è stato riconfermato con il 73% dei voti: a sostenerlo ci sono stati non solo i Dilettanti, ma anche la Lega Pro e l’Assocalciatori, e ha inoltre la piena fiducia del CONI, che non vota ma ha grande peso politico. Contro Gravina, invece, le voci più forti sono quelle dei grandi club di Serie A. Non stupisce allora che la prima proposta del presidente federale per uscire dalla crisi sia stata proporre un comitato speciale con i dirigenti dei top club per discutere le strategie per il calcio italiano: quasi nessuna ricaduta concreta immaginabile, ma un progetto del genere servirà a migliorare i rapporti tra il presidente e i suoi principali oppositori.
D’altronde Gravina è un politico di lunga esperienza, e ha le mani in pasta nel calcio italiano da parecchio tempo. È stato l’uomo del “miracolo Castel di Sangro”, un piccolo club abruzzese di cui fu proprietario tra il 1984 e il 2000 e presidente negli anni Novanta, che condusse in pochi anni dall’Interregionale alla Serie B. Un successo costruito prima di tutto sulla gestione del potere economico e politico, più che sui contenuti sportivi, e con non pochi lati oscuri.
Appena il Castel di Sangro smise di essergli utile, Gravina lo abbandonò, e il club precipitò fino alla Serie D, per poi fallire nel 2005. Nel frattempo, l’attuale presidente della FIGC risaliva la piramide dirigenziale del calcio italiano ed europeo: capo delegazione della Nazionale U21 e di quella olimpica negli anni Duemila, presidente della Lega Pro dal 2015, capo della FIGC dal 2018, e infine vice presidente della UEFA dal 2023. Un anno fa il suo nome era saltato fuori anche come candidato di PD e M5S per le regionali in Abruzzo, ma poi non se n’è fatto niente. Nel 1996, a Castel di Sangro ha fatto realizzare uno stadio moderno e all’avanguardia, per una società così piccola, che dal 2012, a causa dell’ennesimo fallimento, il club non può più utilizzare. Ma per Gravina non è stato un problema: nel 2017, grazie alla sua influenza in Federazione, è riuscito a farlo diventare Centro Federale Territoriale, facendone un polo d’eccellenza per il calcio giovanile italiano. L’impianto è quasi irraggiungibile, a causa della scarsità di mezzi pubblici che collegano la cittadina abruzzese, ma non importa. Da quando è presidente federale, Gravina ha fatto in modo che diventasse uno degli stadi prediletti della Nazionale femminile: in questa cattedrale nel deserto, lo scorso settembre le Azzurre hanno ospitato la Svezia, terza classificata al Mondiale che si era appena concluso. Non esiste immagine migliore per descrivere il rapporto tra Gabriele Gravina e il calcio.