Sono settimane che Marc Marquez tiene in scacco il paddock e i tifosi della MotoGP con indecifrabili rompicapo sul suo futuro, che prima sembrava essere in Honda, dopo in Gresini, ma poi in KTM o all’Olbia Calcio, in Serie C. Una decisione, quella dello spagnolo, che inizialmente pareva ben delineata, ma che di giorno in giorno è andata via via a complicarsi sempre di più forse anche per via di fattori esterni, come il problema delle selle in KTM o l’approdo di Morbidelli in Pramac. Ad oggi, l’ipotesi più plausibile parrebbe un suo passaggio al team di Nadia Padovani dove troverebbe una Ducati Desmosedici GP23. Un’operazione che lo costringerebbe ad affrontare nuovamente uno spettro del passato: Valentino Rossi, che proprio vent’anni fa, coadiuvato da Davide Brivio, iniziava a confezionare il suo addio a Honda per approdare da Yamaha.
È il paradosso del Cabroncito: due situazioni apparentemente simili, ma antitetiche, poiché avvenute in contesti diametralmente opposti tra loro. Nel 2003, infatti, il binomio Rossi-Honda era, forse, ciò che di più vicino alla perfezione l’essere umano potesse immaginare. Il pilota migliore sulla moto migliore. In sella alla RC211V, infatti, il Dottore riuscì a vincere ben venti gare su un totale di 32, finendo sempre sul podio, eccezion fatta per un ritiro a Brno 2002, unico neo di due stagioni altrimenti perfette. Ciononostante, dietro le quinte, il rapporto tra Rossi e la casa giapponese si incrinò sempre di più: il carattere forte e orgoglioso del 46 unito alla presunzione della Honda erano un po’ come acqua e olio. Non riuscivano a unirsi.
La convivenza forzata all’interno del box era, ormai, divenuta insostenibile: Honda, infatti, continuava a sminuire l’italiano a livello mediatico - riconducendo i risultati alla moto e non al pilota - per poi gettare ulteriore benzina sul fuoco concedendo anche ai piloti dei team clienti la moto ufficiale sviluppata dallo stesso Rossi. Giunto al limite, Valentino decise non rinnovare il contratto e di mandare tutti a quel paese passando alla Yamaha proprio vent’anni fa.
Un progetto sposato al buio, poiché fino ad allora la casa di Iwata aveva raccolto pochi risultati - una manciata di podi e un paio di vittorie insieme a Max Biaggi - nel 2002, prima di sprofondare nella mediocrità l’anno successivo. Una scelta folle, come l’avrebbe definita più tardi lo stesso Rossi che, però, lo consacrò definitivamente a leggenda del motociclismo.
Memore, forse, degli errori passati, oggi Honda cerca in tutti i modi di accontentare le richieste e volontà del suo pilota più forte, Marc Marquez, che nel frattempo si trova con un piede già fuori dalla casa giapponese, pronto a ringraziare per l’ospitalità e andarsene in Gresini, in un percorso sulla carta simile a quello di Valentino, ma, in realtà, inverso. Lo spagnolo, infatti, se ne andrebbe, sconfitto, da un progetto perdente - vuoi per politiche aziendali o per colpe da imputare al pilota, faro imprescindibile della squadra dal suo approdo in MotoGP - per salire in sella alla moto più competitiva della griglia. A volerla dire tutta, dunque, il vero riscatto del Cabroncito sarebbe rimanere in Honda e tornare al successo con la RC213V, piuttosto che andarsene altrove. Vincere su una moto piena di problemi per dimostrare di poter ancora fare la differenza, come fece Rossi nel 2003, piuttosto che ricorrere a scorciatoie. Poi certo, se Marc riuscisse a portarsi a casa il 9° titolo mondiale le cose cambierebbero radicalmente. Non per tutti però.