Sofia Goggia ha pianto un sacco negli ultimi mesi. Ha pianto dopo la frattura del pilone tibiale dello scorso 5 febbraio a Ponte di Legno, un allenamento maledetto che ha spezzato una stagione e poteva stroncare una carriera. Sentiva il ghiaccio dentro Sofia, lei che di solito è abituata a mettergli i piedi in testa. Per la prima volta pensava di dover dire addio alle gare, game over per la donna che si è rotta un crociato a 16 anni, che ha morso un argento olimpico coi legamenti del ginocchio sfilacciati e un perone sbriciolato, che ha vinto una discesa a Sankt Moritz diciotto ore dopo essersi fracassata secondo e terzo metacarpo contro un paletto.
Questa volta ci sono state delle complicazioni: una placca di sette viti a fare da spessore proprio lì dove lo scarpone va stretto, nel punto in cui qualsiasi sciatore dilettante tira un sospiro di sollievo quando a fine giornata può liberare malleoli e tibie dalla pressione massacrante dei ganci metallici scalinati. Sofia ha realizzato che la sua carriera potesse chiudersi ad agosto, sullo Stelvio, al termine di mille fallite prove di setting per far coesistere lo scarpone e quella piastra che ancora serviva a fissarle la frattura. E ha pianto ancora, per sei ore filate, perché ha capito che in quelle condizioni non avrebbe potuto svolgere l’abituale preparazione fisica sulle nevi argentine di Ushuaia, dove intanto tutte le avversarie affilavano lamine e canini.
A settembre, tra cliniche e palestre della Bergamo che Sofia porta stilizzata sulla calotta del casco, è stata trovata la soluzione: un intervento chirurgico per togliere la piastra, due esperimenti subito riusciti con gli sci tagliati per applicare sullo scarpone dei gambaletti in carbonio e una linguetta disegnata su misura con lo scanner. In un attimo le prospettive si sono ribaltate, Sofia ha ritrovato fiducia dopo un blocco di allenamenti consecutivi a Cervinia, Plateau Rosa, tra le rassicuranti luci dell’alba ad avvolgere l’arco alpino, i primi freddi intensi e la convinzione sempre più acuta che le cose stavano tornando a girare dalla sua parte.
La conferma delle buone sensazioni è arrivata a Copper Mountain, Colorado, sede di un’altra sessione di preparazione per mettere chilometri e certezze nelle gambe, alla vigilia della tappa inaugurale di Coppa del Mondo di discesa a Beaver Creek. Ed eccola Sofia, alle 19 italiane di un sabato di metà dicembre, al cancelletto di partenza. Presentarsi lì, dietro quella sbarra che si solleva ogni due minuti insieme alle grida d’incoraggiamento degli skimen, era il suo obiettivo. “Non ci sono target stagionali al momento, devo vedere giorno per giorno come va”, aveva dichiarato settimana scorsa alla Gazzetta dello Sport.
Poi la vedi scendere, mentre le telecamere della regia internazionale mandano in onda riprese panoramiche delle Montagne Rocciose: non sono appuntite come le nostre Alpi, ma assomigliano a dei pandori ricoperti di zucchero a velo. Sofia Goggia ci scivola sopra come una valanga di crema al mascarpone, più passa il tempo e più la Birds of Prey sembra conciliarsi con quella danza carica di gusto. Se ne accorge anche il cronometro, che si inserisce in sovrimpressione sugli schermi illuminandosi con intertempi sempre più verdi. Goggia è momentaneamente prima, verrà battuta per sedici centesimi solamente da Cornelia Huetter. Sul podio dirà che è contenta ma non troppo, perché poteva sciare meglio nell’ultima parte, dove in prova aveva fatto spavento. Perché ha espresso solo l’80% del suo massimo potenziale. Perché poteva vincere, e menomale che il suo obiettivo era partecipare. Sofia Goggia non è mai stata meglio e noi, con lei, continueremo a divertirci ancora un po’. Ci accontentiamo di questo.
Ci accontentavamo di questo. Perché alla domenica è arrivata la vittoria in SuperG.