Francesco Farioli si è dimesso dall’Ajax. E’ successo qualche ora dopo le lacrime versate in mezzo al campo della Johan Crujiff ArenA. Davanti a uno stadio pieno, stretto tra gli abbracci dei suoi giocatori e dello staff tecnico. Una fotografia emozionante e profonda che racconta la sostanza della stagione del primo allenatore italiano sulla panchina del glorioso club olandese. Il tempo di dormirci sopra e decidere di dividersi, ma restare per sempre legati dal rispetto e dai forti sentimenti condivisi.

È stato un viaggio di passione, di sogni sfiorati e persi. Ma, soprattutto, di ricostruzione di un progetto sportivo che, nella passata stagione, aveva toccato il punto più basso della sua storia. Con Farioli, l’Ajax, aveva ritrovato la leadership in campionato. E, solo un mese fa, guardava tutti dal primo posto in classifica con un distacco di addirittura nove punti sulla seconda, la corazzata del PSV Heindoven. Sembrava fatta, fino a un clamoroso e inaspettato crollo che ha determinato il sorpasso ai danni dei lancieri di Amsterdam, alla fine dietro di una sola lunghezza. Una caduta rovinosa che ha lasciato il segno. Una ferita sanguinante che sa di amarezza per uno straordinario percorso, concluso al secondo posto solo a causa dell’ultima curva sbagliata.
Inutile è stato il successo per 2-0 all’Ajax Arena contro il Twente, perché la frittata era stata fatta le domeniche precedenti. Alla fine ha vinto il PSV, certo una squadra di ben altra caratura con in rosa calciatori del calibro di Tillman, Perisic, De Jong, Noa Lang. Solo una formalità infatti per loro, l’ultima partita vinta 3-1 in casa dello Sparta Rotterdam.
Un sogno infranto quello di Farioli e del calcio italiano, perché sarebbe stata la prima volta di un allenatore del nostro paese campione in Eredivise. Peccato. Non solo per l’esito della stagione, perché lo sappiamo che vincere o perdere, molto spesso, passa attraverso un episodio, una distrazione o un gol subito in modo incredibile come è accaduto all’Ajax alla penultima giornata, contro il Groningen, al 99esimo. C’è amarezza perché sembrava tutto pronto per un finale trionfale, invece, settimana dopo settimana qualcosa si era rotto. Quattro gol presi nella trasferta di Utrecht, 3-0 subito in casa dal Nec Nimegen, quindi il pareggio clamoroso a Groningen e l’ultima inutile vittoria a chiudere. Mentre il PSV faceva l’en plein e compieva il sorpasso che valeva il titolo.
Esito beffardo, duro da digerire anche per chi era abituato a prendersi tutto nella vita. Farioli al termine della gara che ha chiuso il campionato, non ce l’ha fatta più ed è scoppiato a piangere di fronte allo stadio gremito, con i suoi giocatori e membri dello staff tecnico corsi a consolarlo. Lacrime di un ragazzo di 36 anni che ha mostrato la statura dell’uomo vero, che non si è risparmiato e ha fatto il giro del campo a ringraziare i tifosi, che ha espresso tutta la passione per il gioco del calcio e per il club che gli ha dato la possibilità di sedere su una delle panchine più prestigiose d’Europa.
Un sogno vissuto intensamente che stava ad aprire le porte a un sogno ancora più grande. Ci sta di cadere sul più bello, ciò non toglie quello che è stato costruito sul campo, giorno dopo giorno, e nello spazio delle emozioni che hanno legato in modo indissolubile il giovane allenatore toscano con una città, un ambiente, uno stadio che porta la firma di Johan Crijuff, uno dei più grandi calciatori della storia. Farioli ci ha fatto rivivere l’epopea di Rocky Balboa quando perse ai punti il suo primo incontro con Apollo Creed, ma fece innamorare tutti gli Stati Uniti, per poi diventare un campione. Siamo certi che sarà lo stesso.
E Farioli, è bene sottolinearlo al mediocre opinionismo calcistico del nostro paese che oggi rumoreggia per un suo probabile arrivo in Serie A (Roma in pole position) sostenendo non sia pronto per l’Italia, è un ragazzo che racconta una storia straordinariamente pulita, fatta - appunto - di sogni, anni passati a studiare, ad allenare i portieri nei campi di periferia dei tornei dilettanti, di scelte coraggiose come quella di trasferirsi, ancora giovanissimo, in Qatar per lavorare nella nuova Academy, di stagioni intere al servizio di un maestro come De Zerbi, fino alla decisione di proseguire da solo. A costo di rischiare di perdere tutto e ricominciare dal basso.
Non è andata così, perché fin da subito il mondo del calcio si è accorto del suo talento. Prima in Turchia dove ha impresso la sua filosofia di gioco, poi in Francia, al Nizza, tornato con lui a giocare in Europa. Infine all’Ajax, perché, se dobbiamo essere oggettivi, il risultato, nonostante tutto, è stato eccezionale. Se prendi una squadra, da due anni in crisi profonda e incredibilmente fuori dalla Champions League dopo decenni, la ricostruisci con una rosa giovanissima e, a 5 giornate dalla fine, sei primo in classifica, significa che la mano di chi sa fare calcio si è vista. Purtroppo è mancata la ciliegina per gridare all’impresa. Ma c’è tempo perché, ne siamo certi, Farioli si riprenderà tutto, con gli interessi. Magari proprio in Italia.
