Ormai è diventato un riflesso automatico: basta un pareggio, magari un gol preso al 90esimo, ed ecco che ricomincia il solito teatrino. “Scudetto buttato”, “mancanza di cattiveria”, “crollo mentale”. Domenica sera l’Inter ha pareggiato 2-2 con la Lazio, dopo essere andata due volte in vantaggio e aver subito due gol da Pedro. Un risultato che ha complicato, forse definitivamente, la corsa scudetto. E subito sono piovuti giudizi: Paolo Di Canio, a Sky, si è detto scioccato. “Ma che stanchezza è al minuto 55? Ho visto i giocatori dell’Inter trotterellare. Manca la fame. Stanno pensando a Monaco? Vinci oggi e hai vinto lo scudetto. Stiamo giustificando una cosa gravissima”. Beppe Bergomi ha rincarato: “Se vai in vantaggio due volte, la partita la devi portare a casa”. Il problema però non è l’Inter. Il problema è la memoria corta. È il rifiuto costante di guardare la realtà per quella che è. Di vedere che l’Inter, ad oggi, è ancora viva su tutti i fronti, a differenza di quasi tutte le altre. È la squadra che si è giocata lo scudetto fino all’ultima giornata, è in finale di Champions League, ha sfiorato la Coppa Italia, ed è ancora lì, anche fisicamente, dopo 50 partite ad alta intensità. Ma tutto questo viene cancellato per un pari con la Lazio. E si torna al solito disco rotto: “scudetto perso”.

In realtà, se c’è qualcuno che rischiava di perderlo davvero, è il Napoli. Il Napoli che è uscito da Parma con uno 0-0 contro una squadra che non si giocava nulla. L’Inter, per quanto si sia fatta rimontare, ha pareggiato contro la Lazio, che si giocava un posto in Champions. C’è una bella differenza. Ma guai a dirlo. Guai a far notare che forse, a mollare, è stata la squadra che aveva tutto in mano. E mentre l’Inter incassa critiche, Antonio Conte va in tv e si lamenta. “Siamo stati in testa tanto, nonostante l’annata di tante difficoltà”, dice a Dazn. Poi prova a chiarire: “Ma non ci siamo mai lamentati”. E un attimo dopo lo fa. Sottolinea che “con noi tutto passa in secondo piano”, elenca le assenze (“mancavano Lobotka e Buongiorno”) e infine ammette: “Menomale che stiamo finendo, perché perdiamo pezzi”. Ma il meglio arriva poco dopo, quando chiude con un “sono molto stanco, ci arrivo giusto giusto alla fine”.

Stanco. E Inzaghi cosa dovrebbe dire? Lautaro ha giocato il ritorno contro il Barcellona praticamente con una gamba sola, l’Inter è arrivata al limite con tre competizioni da onorare, ha tenuto in piedi la squadra con rotazioni risicate, senza mai un lamento, mai una polemica, mai una parola fuori posto. Ha vinto, ha sbagliato, ma ha sempre parlato con i fatti. E soprattutto ha lavorato con un mercato ridottissimo. L’Inter, nella stagione 2024/25, ha investito 30 milioni di euro per Martinez, Palacios, Zielinski e Taremi. Il Napoli ne ha spesi 97,3. Ha preso Lukaku (con stipendio da 8 milioni lordi), Buongiorno, McTominay, Gilmour, Marin, Neres e Spinazzola. La distanza economica tra le due rose è abissale, ma questo non conta per chi guarda solo l’ultima giornata. L’Inter doveva vincere. L’Inter ha fallito. E basta così.
Ma questa è una narrazione comoda, e come tutte le narrazioni comode, è fuorviante. Perché se vogliamo parlare di miracoli, allora serve rispetto per chi i miracoli li ha davvero firmati. E il riferimento non è ad Antonio Conte. Il vero miracolo recente del calcio italiano lo ha fatto Luciano Spalletti, con il Napoli dello scudetto 2023. Una squadra che ha chiuso il girone d’andata con 12 punti di vantaggio sulla seconda, nessuno aveva mai fatto meglio dai tempi dei tre punti, e che ha vinto il campionato con cinque turni d’anticipo, eguagliando record storici. Un titolo arrivato dopo 33 anni di attesa. Una corsa chiusa con 80 punti in 33 giornate: solo il Barcellona aveva fatto meglio nei top 5 campionati europei. Una squadra con il miglior attacco, la miglior difesa, il miglior possesso e il miglior pressing alto. Un calcio vero, completo, spettacolare.

E con in panchina un allenatore come Spalletti, che ha aspettato 554 partite per alzare il trofeo, diventando il tecnico più “anziano” a vincere uno scudetto in Italia. Un uomo che aveva già fatto un lavoro fondamentale all’Inter, prima che Conte salisse sul treno. Perché è stato lui, Spalletti, a riportare l’Inter in Champions con il gol di Vecino all’Olimpico. È stato lui a ripulire e a ricostruire. Conte ha vinto, certo. Ma su fondamenta che non erano sue. Ma questo perché non lo ricorda mai nessuno? Perché nessuno dice la qualità che il tecnico di Certaldo ha portato in Serie A? E, soprattutto, chi accetta davvero le scommesse in Serie A? Non chi firma solo quando ci sono garanzie. Le accetta Simone Inzaghi, che ha preso una squadra l’ha rifondata e l’ha portata in cima in tre stagioni. Le accetta Luciano Spalletti, che ha fatto esplodere il Napoli e poi ha fatto un passo indietro per problematiche che esulano dall’ambiente calcistico. Le accetta Claudio Ranieri, sempre pronto a ricominciare da zero. Le accetta Baroni, che con la Lazio ha fatto molto più di quanto ci si aspettasse.

Sono loro i modelli. Non chi batte cassa e poi si dichiara esausto. L’Inter non ha buttato nulla. Ha costruito. Ha gestito. Ha sbagliato, ma è arrivata in fondo. E se c’è una cosa che oggi andrebbe detta, è che chi parla di “fallimento” dovrebbe guardare il campionato per intero. Perché quando il Napoli aveva il vantaggio, lo ha sciupato. E l’Inter, pur spremuta, è ancora lì. In piedi. Con la testa alta. E con tutto il diritto di non sentirsi colpevole per non aver vinto. Perché, nel frattempo, ha dimostrato di esserci. Sempre. E sarebbe bene ricordare che amare il calcio, seguirlo, soprattutto tramandarlo, non può ridursi a frasi che starebbero bene sotto in un tweet. Analizzare le dinamiche comporta conoscerne la storia, farla propria, senza sentirsi mai superiore agli altri. E Inzaghi, che di rospi ne ha ingoiati fin troppi, ha fatto più che bene a disertare le domande e a scegliere con la società il silenzio stampa. Perché ci sono momenti in cui è bene preservarsi e sì, l’Inter ne ha bisogno. Ne ha bisogno per provare a scrivere la storia. Una storia di cui gli altri, ora, possono solo essere inermi spettatori.