Ha lasciato l’Italia tra lacrime, dubbi e, forse, troppe critiche ingiuste. C’è chi gli aveva messo l’etichetta del “One season wonder”, chi diceva che non sapeva più dribblare, che faceva sempre la stessa giocata e che, forse, quel fenomeno che aveva trascinato il Napoli all’incredibile e dominante scudetto del 2023, era stato solo un abbaglio.

Oggi Kvicha Kvarastkhelia, con indosso la maglia del Paris Saint Germain, gioca a calcio come un novello Cezanne, disegna traiettorie e movimenti di puro istinto da artista imaginifico e, insieme alla new age francese dominata dal talento del futuro Desirée Douè e il rinato Dembelè, sta dominando la Champions League. La vittoria per 3-1 contro l’Aston Villa è da esporre al museo di Louvre.
Viene da pensare che il calcio italiano, troppo piegato ai meccanismi del risultato a tutti i costi, abbia perso il piacere di godersi il talento. Questo è accaduto con Kvaratskhelia, arrivato in Italia dalla Dinamo Batumi, nella città di Diego Armando Maradona, il Dio del pallone che aveva insegnato ai napoletani a combattere il potere con la bellezza, da perfetto sconosciuto con un cognome impronunciabile, alla fine di una campagna acquisti del presidente De Laurentis che aveva fatto infuriare i tifosi, in seguito alle cessioni di Mertens, Insigne, Koulibaly, Ruiz.
Era invece l’inizio di un grande sogno culminato con il tricolore firmato da Luciano Spalletti e in mezzo giocate stellari dei talento georgiano tanto da meritarsi lo pseudonimo di Kvaradona. Ma non era bastato per avere il giusto riconoscimento dal nostro calcio. Kvaratskhelia era infatti finito, la stagione successiva, nel vortice delle critiche come tutto la squadra che aveva terminato il campionato al decimo posto. Scelte scellerate della società avevano visto alternarsi sulla panchina partenopea tre allenatori, uno più assurdo dell’altro: Garcia, Mazzarri e Calzona. E lì sono iniziati i problemi.
Si sa che il calcio moderno non perdona. Oltre alla bellezza, alla passione dei tifosi, ci sono i contratti da rispettare. Ci sono, insomma, i soldi in mezzo. Questioni che cambiano destini e spezzano il cuore se non gestite nel modo giusto. Qui non stiamo a decidere chi ha ragione tra le parti, parliamo di calcio e di quello che il nostro calcio si è perso, lasciando partite, forse troppo a cuor leggero, uno dei calciatori più forti del mondo, che in questo momento gioca a pallone come Gesù Cristo e può dominare la Champions League.

Il Napoli e chi segue gli affari di Kvara hanno iniziato un lungo e noioso braccio di ferro che non si è mai risolto. D’altronde Kvicha aveva fatto brillare gli occhi a mezzo mondo e le squadre più ricche e prestigiose lo volevano prendere e portare via dall’Italia. Così è finito l’incantesimo, tra chi forse si sarebbe aspettato un riconoscimento dal Napoli e chi sperava che il ragazzo mettesse il cuore prima delle sue ambizioni.
Ma la verità che vogliamo evidenziare in questo testo non è tanto la questione economica, piuttosto la poca capacità del nostro calcio di esaltare i talenti. Kvara negli ultimi mesi di permanenza a Napoli sembrava smarrito, triste, bloccato da una visione di calcio poco fantasiosa del suo allenatore Antonio Conte. Per non parlare dell’opinionismo medievale del mondo pallonaro italico che lo aveva già relegato a riserva del brasiliano David Neres, con evidenza un giocatore poco più che normale per chi di calcio ne ha visto un po’. E allora via Kvara, ciao Italia, mentre i tifosi del Napoli gridavano al tradimento addirittura appoggiando la gigantografia del calciatore nel bidone della spazzatura, quasi tutti sembravano aver la certezza che la serie A avesse perso poco. Sì, un buon giocatore come tanti altri. Uno che “aveva fatto una stagione buona”.
Già veniva dato per spacciato nel PSG, eterno paradiso dorato per perdenti. La verità oggi è un’altra: Kvaratskhelia ai piedi della Torre Eiffel, è tornato a brillare. Emoziona, segna, fa segnare, si diverte. E a Parigi è già un idolo di tutti, oltre che il pupillo del suo nuovo allenatore Luis Enrique. Lui sì che di bellezza se ne intende.
Il talento georgiano è infatti il perno del suo gioco dove chi sa trattare la palla un posto lo trova sempre. Kvicha si muove non solo a sinistra come in Italia, ma anche a destra, in mezzo, scende a centrocampo e quando c’è da inventarsi la giocata per decidere chi comanda la fa, se la inventa come i grandi visionari, come chi è destinato a lasciare il suo nome nella storia.
La strada è ancora lunga e niente è definitivo. Il Napoli, nonostante non si distingua per un gioco attraente, senza di lui è ancora in corsa per lo scudetto, il PSG dovrà vedersela con altre corazzate prima di provare a salire sul tetto d’Europa. Però possiamo dire che il calcio italiano, Napoli e Antonio Conte, con Kvaratskhelia non ci hanno capito nulla.
