Quante volte, durante una partita, ci siamo trovati in disaccordo - per non dire altro - con un arbitro? Tante, forse troppe. Ciò che rimaneva immancabilmente dal lunedì mattina, però, erano solo le fredde analisi sui giornali e le settimane di dibattito con amici o conoscenti. Mai una spiegazione su cosa fosse realmente accaduto o avesse portato l’arbitro a prendere quella decisione. Come nel caso del controverso gol di Christian Pulisic, senza dubbio il caso più dibattuto dell’ottava giornata di Serie A e che ha animato l’ultima puntata di Open Var, il nuovo format Dazn, in cui il designatore Gianluca Rocchi mostra le registrazioni Var audiovisive di alcuni episodi arbitrali della settimana precedente, per poi commentarli insieme a conduttori e talent del broadcaster. Un programma nato da premesse estremamente valide, come il tentativo di migliorare la comunicazione tra il mondo arbitrale e quello dei tifosi, ma soprattutto anche per formare quanto più possibile il pubblico su procedimenti e modalità di utilizzo dello stesso Var. E i risultati sono stati incoraggianti per Dazn, che è riuscita a confezionare un prodotto nuovo e, soprattutto, di grande appeal, in grado di attrarre tutti gli appassionati, a prescindere dalla fede sportiva. Un po’ meno per la classe arbitrale, che si è cacciata, forse, in una posizione ancor più scomoda: sui social, infatti, di settimana in settimana, è cresciuto il disappunto dei tifosi, disillusi dalle dichiarazioni di Rocchi, che giustamente cerca di giustificare ed empatizzare con i suoi vecchi colleghi, spiegando le loro motivazioni e i processi mentali che possano averli portati a decidere in quella maniera. E la discussione sul presunto fallo di mano di Pulisic nel corso dell’ultimo episodio, citato prima, non ha fatto altro che accrescere il dibattito.
Le registrazione verranno analizzate solamente nella prossima puntata, ma pare che, come accaduto in altri casi, il gol sia stato convalidato per l’assenza di immagini che mostrassero un chiaro tocco di mano, a giudicare dalle parole dell’ex arbitro, che poi si è concesso alle domande dallo studio. La più interessante, probabilmente, gli viene posta da Stefano Borghi, che chiede se non sia sempre meglio mandare un arbitro all’on-field review, per fornire ulteriori prospettive o dettagli che, nel vivo dell’azione, potrebbero essergli sfuggiti: “Mandare un arbitro al monitor è psicologicamente molto complesso. L’arbitro (per andare al monitor, nda) deve avere una certezza. Se non ce l’ha, non gli viene risolto un problema, glielo si crea”. Rocchi ha poi spiegato nel corso della puntata come questi dubbi possano influenzare gli arbitri e come sia sempre meglio prendere delle decisioni sul campo - piuttosto che al monitor - poiché, in caso di incertezza, restano valide. Dichiarazioni estremamente interessanti, a prescindere dal presupposto di partenza, e da cui sorgono spontanee alcune questioni: su tutte, perchè esiste il Var? È uno strumento che serve a tutelare la classe arbitrale o a garantire una corretta conduzione del gioco?
Per affrontare la questione in maniera oggettiva a prescindere dalla fede sportiva, il calcio è lo sport più seguito al mondo e, di conseguenza, gli interessi economici di investitori e, soprattutto, club sono altissimi - secondi solo alla passione dei tifosi. Decisioni arbitrali controverse possono influire pesantemente sull’andamento - oltre che sul risultato finale - di una competizione. Appare evidente come, dunque, sia forse più corretto un utilizzo del Var in questa direzione, andando a salvaguardare il corretto svolgimento delle partite, piuttosto che l’orgoglio della classe arbitrale - che negli anni ha mostrato in più occasioni un rapporto di timore e diffidenza con il richiamo al monitor. Un rapporto che Rocchi stesso ha provato a chiarire, spiegando che la tecnologia debba offrire supporto in caso di errori chiari - citando a esempio il fallo di Lautaro Martinez in Inter-Bologna - e non sostituirsi all’arbitro, spostando però l’attenzione lontano dalla questione più importante: perché, in caso di incertezza, l’arbitro non può rivedere le immagini? Per riprendere le parole del delegato AIA, è chiaro che possa confondersi ulteriormente: gli arbitri sono essere umani, dunque imperfetti. Ma, proprio per quest’ultimo motivo, la logica porterebbe a credere che poter rivedere, anche a rallentatore, azioni che dal vivo si sviluppano in frazioni di secondo, nella maggior parte dei casi, consentirebbe ai direttori di gara di compiere decisioni più consapevoli e ponderate, piuttosto che un cortocircuito arbitrale.