Solo quattro giocatrici negli ultimi 25 anni erano riuscite ad arrivare in finale al Roland Garros e a Wimbledon nella stessa stagione: Serena Williams, Venus Williams, Steffi Graff e Justine Henin. Se consideriamo anche gli uomini, il gruppetto si allarga dei soliti nomi, Federer, Nadal, Djokovic, Murray e, da ieri, Alcaraz. Per capire la portata dell’impresa realizzata da Jasmine Paolini, bisogna partire da qui, vedere il suo nome accanto a questi giganti fa impressione e dice molto di ciò che è riuscita a fare in questo mese. Ma non basta, Paolini non solo è arrivata in finale a Wimbledon, ma lo ha fatto dopo aver vinto 6 partite in carriera (considerando circuito WTA e ITF) sull’erba, a fronte di 13 sconfitte. Niente, neanche dopo l’incredibile Roland Garros, poteva far presagire un’altra cavalcata da protagonista nello Slam londinese, e invece, dopo l’uscita di Gauff dal suo lato di tabellone, a un certo punto ci è sembrato quasi logico un suo approdo in finale.
Il senso di delusione che aleggia adesso nell’aria, dopo la finale persa contro Barbora Krejcikova, non può scalfire in nessun modo l’impresa straordinaria compiuta da Paolini in queste due settimane. La determinazione e la capacità con cui è riuscita ad adattare il proprio tennis all’erba è un qualcosa che, per fare un esempio eccellente, neanche la numero 1 del mondo, Iga Swiatek è riuscita a fare. Se è vero che non riusciamo a toglierci dalla testa i due momenti più tesi della finale di ieri, ovvero il doppio fallo sul 3-3 e la risposta sbagliata di rovescio sulla seconda di Krejcikova nel penultimo punto della partita, dobbiamo fare lo sforzo di capire, che quelli sono due momenti che non possono essere presi singolarmente, ma contestualizzati in una più ampia dimensione tecnico, tattica e ovviamente emotiva.
Il diritto di Paolini non è adatto all’erba, l’ampio caricamento e la sua impugnatura lo rendono particolarmente macchinoso per la superfice, contro giocatrici come Donna Vekic, affrontata in semifinale e Krejcikova, che colpiscono prevalentemente piatto e in anticipo, il problema viene fuori in modo ancora più evidente. L’aspetto che ieri ha fatto la differenza (e che lo ha fatto anche durante la partita con Vekic, seppur vinta con grinta e cuore da Paolini) è stato la risposta al servizio della ceca, che non permetteva a Paolini di riorganizzarsi in uscita dal movimento, andando così in difficoltà già nelle fasi iniziali dello scambio. Per essere efficace l’italiana ha bisogno di tempo per caricare i suoi colpi, così esce fuori il suo miglior tennis, quello in grado di spostare l’avversaria e farla colpire sempre da posizioni scomode e in corsa. Nello psicodramma della semifinale con Vekic, la partita è cambiata quando Paolini è riuscita a muovere l’avversaria, prendendo in mano il gioco e mostrando così tutti i limiti della croata. Ieri, quando è riuscita a farlo con Krejcikova, ecco che la vittoria ci è sembrata possibile e che la ceca, ingiocabile per un set, è diventata improvvisamente umana. Purtroppo, però, nelle fasi finali, è emersa l’esperienza di una comunque campionessa Slam, che nei momenti di tensione si è rifugiata nella sua comfort zone, il servizio e il dritto, perfetti per l’erba. Paolini in quei momenti si è riscoperta fragile e l’inesperienza sull’erba è emersa all’improvviso, nonostante tutto lo sforzo per mascherarla. Così è più facile spiegare quel doppio fallo sul 3-3, derivato dalla paura della risposta dell’avversaria, che, come detto, tanto l’aveva messa in crisi durante tutta la partita. La risposta sbagliata nel penultimo punto della partita invece, riguarda l’aspetto emotivo; in un momento in cui la ceca era paralizzata dalla tensione e aveva appena affossato un back a mezza rete, con le gambe ingessate, Paolini ha capito che la sua avversaria stava sentendo la pressione di chiudere la partita, ma invece di caricarsi, ha finito per bloccarsi anche lei, commettendo l’errore più grande in momenti come quello: non far partire lo scambio. Al Matchpoint successivo, Krejcikova ha ritrovato magicamente la prima, vincendo così il secondo slam in singolare della sua carriera, il nono considerando anche il doppio.
Per Paolini, questo deve essere un punto di inizio, ha capito di poter essere competitiva su tutte le superfici, e, dopo questo ultimo mese da star, dovrà ripartire, da numero 5 del mondo, semplicemente giocando il suo tennis. A 28 anni, nel pieno della maturità tennistica, avrà ancora altre occasioni da poter sfruttare e, con la consapevolezza raggiunta in questa stagione, riuscirà a centrare il bersaglio grosso, da qualche parte, prima o poi.