Proprio così, sicuramente il talento più cristallino di questa nuova generazione di tennisti nati dopo il 2000, per due settimane è riuscito ad arrestare una parabola discendente che stava diventando preoccupante e, dopo l’ottimo torneo al Queen’s, è arrivato, complice un tabellone piuttosto fortunato, a giocarsi questa prestigiosa semifinale. Musetti ormai lo conosciamo bene, battere avversari alla sua portata, o per dirlo in modo meno carino, che dovrebbe battere senza problemi, è sempre stato il suo problema più grande. È il classico giocatore che può battere Djokovic (impresa riuscita a Montecarlo lo scorso anno) o portarlo al quinto in uno slam (accaduto al Roland Garros di quest’anno e di due anni fa) e poi perdere con il numero 100 del mondo in due set (vedasi le sconfitte con Atmane e Passaro di due mesi fa). Ci sono giornate in cui ci chiediamo come Musetti non sia a combattere per gli slam insieme ad Alcaraz e Sinner, e altri in cui riteniamo che possa essere soddisfatto a essere in top-100. Quello che abbiamo imparato è non aspettarci nulla da lui, nel bene e nel male, sperare che sia la settimana buona, senza rammaricarci troppo se non lo è. Per certi versi, e questa è l’aspetto più pericoloso, anche lo stesso Musetti sembrava accettare questa situazione, ovvero di provare a competere solo quando vedeva che il suo tennis glielo permetteva, senza cercare di farlo anche se le giornate erano negative.
C’è da fare una premessa importante però, Musetti gioca un tennis difficile, è un gioco di tocco, sensibilità, fatto di variazioni in back, palle corte, ovviamente il rovescio è a una mano, nelle migliori giornate in cui gira tutto, la racchetta di Musetti sembra dipingere un tennis rinascimentale, che purtroppo non esiste più, ma che torna in vita grazie a lui. Quando però il meccanismo perfetto si inceppa, non ci sono piani b, non c’è un tennis minimale fatto di servizio e dritto che può sorreggere l’intera struttura e quindi quell’illusione in cui è in grado di trasportarci, torna a essere tale. Avevamo imparato a guardare Musetti come si guardano le opere d’arte, ammirandolo in silenzio affascinati dalla sua bravura, senza aspettarci una sua vittoria, e anzi, togliendo il risultato dall’equazione. Vederlo perdere o vincere non ci interessava più, accendevamo la televisione solo per guardarlo giocare, sapendo di rimanere estasiati da qualche rovescio lungolinea o qualche palla corta imprendibile. Questa dimensione di intrattenitore sembrava stare bene anche a lui, almeno fino a queste ultime settimane. All’improvviso, dopo una stagione sulla terra rossa (la sua superficie) a dir poco disastrosa, ha raggiunto, nel giro di due settimane, la semifinale a Stoccarda (battuto da Berrettini) e la finale al Queen’s (sconfitto stavolta da Tommy Paul), riuscendo a battere giocatori temibili sull’erba come Bublik, Thompson e De Minaur, padroneggiando inaspettatamente una superficie che poco si addice alle sue caratteristiche. L’italiano preferisce stare lontano dalla linea di fondo, per guadagnare tempo, prezioso alleato nel caricamento dei suoi colpi, abbastanza macchinosi nella loro costruzione (soprattutto il diritto), sebbene l’erba premi i giocatori che amano variare il gioco, soprattutto con il back e le palle corte, negli ultimi anni, avere un servizio e dritto dominante ha sempre fatto la differenza su questa superficie. Per fare un esempio eccellente, quando pensiamo a Federer, per prima cosa ci vengono in mente i suoi colpi spettacolari e le sue invenzioni fuori da ogni logica, ma la struttura su cui si appoggiavano, era fatta di scambi brevi che raramente superavano i 5 colpi e che hanno fatto la vera fortuna dei suoi successi sull’erba.
Musetti, come accennato prima, questa struttura non l’ha mai avuta, la prima è molto ballerina, va e viene, il dritto è troppo macchinoso e richiede una preparazione troppo lunga per essere un’arma devastante come dovrebbe, nel tennis supersonico di oggi. Insomma, nulla lasciava presagire questo clamoroso exploit, eppure è successo, forse nel modo meno “musettiano” possibile, ovvero semplicemente rispettando le aspettative. A un certo punto, nel momento in cui il tabellone si era aperto, era chiaro come il favorito per giocare il quarto di finale contro Fritz (o Zverev) fosse lui, per questo già eravamo pronti a vederlo sconfitto contro l’imponente Perricard, potente, distruttivo e pieno di limiti, atletici e fisici, il classico giocatore da erba. E invece, per una volta, seppur in modo rocambolesco, Musetti è uscito vincitore dalla battaglia, presentandosi alla partita contro Fritz nelle condizioni a lui più congeniali, da netto sfavorito.
Il primo set della partita contro l’americano ha rispettato le attese, il tennis minimalista di Fritz, ridotto al servizio e dritto, faceva apparire quello di Musetti troppo poco per certi livelli, come se, andando a scavare bene fino in fondo, non ci fosse una reale arma che l’italiano potesse sfoderare per mettere in crisi l’avversario. A metà secondo set, sotto già sotto di uno e di un break, la rimonta sembrava un’utopia, qualcosa di impossibile da immaginare, e invece non è stato così. Musetti ha pensato che una partita diversa fosse possibile e, incredibilmente visto la sua indole autodistruttiva che viene fuori soprattutto in certi momenti, ha lottato per renderla reale. Si è avvicinato alla linea di fondo e, all’improvviso, ha ritrovato tutto l’arsenale di cui dispone, Fritz non ci ha più capito nulla. Quando è in grado di giocare quel tennis, il suo tennis, Musetti ha la capacità di far apparire i suoi avversari goffi, inadeguati, di fronte a un giocatore come Fritz, che già appare goffo e impacciato di suo, l’effetto è stato ancora più evidente e, per certi versi, comico.
Il quinto set è stato un momento bellissimo, il tennis utopico di Musetti è entrato in contatto con la realtà, e il campo numero 1 di Wimbledon è diventato un teatro, Fritz ha vissuto un’esperienza che non si augura a nessuno, quello di essere l’agnello sacrificale, dello show del suo avversario. Adesso ci sarà Djokovic, noi, come al solito, non gli chiediamo niente, solo che ci faccia emozionare guardando una partita di tennis, come se fossimo a teatro.