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Paolo Beltramo racconta un po’ del suo Brasile, bello e disperato. E su Bolsonaro: “È la destra ‘Dio, patria e famiglia’ che va adesso”

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

13 gennaio 2023

Paolo Beltramo racconta un po’ del suo Brasile, bello e disperato. E su Bolsonaro: “È la destra ‘Dio, patria e famiglia’ che va adesso”
“In Brasile non ci vado più da quando è stato eletto Bolsonaro”, racconta Paolo Beltramo all’inizio di una lunga telefonata. “La sua famiglia ha acquistato 51 appartamenti in contanti, Lula vendeva arance per strada”. Il tentato golpe dei liberali in Brasile, ad ogni modo, è diventato abbastanza in fretta un pretesto per ascoltare delle belle storie: dalle foto di Evandro Teixeira al Trio Elétrico, fino alla Cagiva di Randy Mamola e al rigore di Roberto Baggio nel ’94 vissuto dal paddock di Le Mans, quando Beltramo fece inferocire (anche) Max Biaggi

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Se gliene fregasse qualcosa, Paolo Beltramo potrebbe fare l’ospite nei talk in prima serata per parlare del Brasile. Di com’è la gente che lo abita, di come scorre la vita, di quanto è cambiato negli anni. Così, quando i sostenitori di Bolsonaro hanno invaso la capitale con una manovra che ricorda fin troppo da vicino quanto visto a Capitol Hill nel 2021, abbiamo pensato di fargli una telefonata. Lui era nel mezzo di un trasloco, ma parlare di quello che reputa il posto più bello del mondo lo ha messo di buon umore.

“Credo di esserci stato per la prima volta nel 1980, stavo a Recife”, comincia a raccontare. “È stato un amico di mio fratello a convincermi, si erano conosciuti in treno tornando dal Portogallo e negli anni Settanta veniva spesso a trovarci. Ricordo che andavo con Air France, l’unica a fare la tratta senza scali. Ai primi tempi era un casino, cambiavi 50 dollari al giorno perché c’era un’inflazione pazzesca: la moneta era il Cruzeiro, poi diventata Cruzado e ancora Cruzado Novo. Così ho conosciuto questi ragazzi che avevano una ferramenta, uno era un pilota di ultraleggeri e mi hanno dato una mano… ricordo Olinda, dove c’era il mercato degli schiavi. Poi tramite un conoscente ho cominciato ad andare a Bahia, finché non ho scoperto che alcune persone che conoscevo dai tempi dell’oratorio vivevano a Rio. Ci siamo ricollegati e rivisti. Ti dirò di più: in Brasile ci andavo per le gare e pure per i test con Aprilia, avevo una specie di accordo con loro per cui il pagamento era il biglietto aereo. Sono stato con Mamola, Haslam e gli altri mentre provavano la Cagiva”.

Randy Mamola al Goiana Circuit con la Cagiva GP500, 1988
Randy Mamola al Goiana Circuit con la Cagiva GP500, 1988.

“Poi amici, giornalisti brasiliani… Giorgio Terruzzi, per dire, aveva una moglie brasiliana e mi presentò uno dei più grandi fotografi del mondo, Evandro Teixeira, che ha fatto le foto il giorno del golpe nel ’68 e un libro sulla Marcia dei Centomila, un bel lavoro. Teixera era Bahiano, mi ha fatto conoscere delle persone a Petrolina, in giro da quelle parti. Poi a Goiânia ho trovato la mia prima fidanzata brasiliana - beh, di importanti ne ho avute due soltanto -  che era venuta a fare un’intervista con Mamola. Ricordo che lavorava per ‘TV Donna di Goiânia’, lei non sapeva l’inglese e Randy non parlava portoghese, così ho fatto da traduttore e mi sono rovinato! M’è costata tanto quella storia, ma solo perché non sono uno stronzo. Anche quando non stavamo più insieme le ho dato tutto il tempo per sistemarsi… comunque per fortuna si è sposata con un altro qui in Italia e ora credo sia di nuovo in Brasile. Tra l'altro ora che mi viene in mente uno che sa tutto dei brasiliani è Jovanotti. Una volta ci ho chiacchierato a Laguna Seca, abbiamo cominciato a parlare di testi, canzoni… sapeva tutto. Le sue cose possono piacere o meno, ma di musica etnica se ne intende da matti”.

Una foto di Evandro Teixeira
Evandro Teixeira per Testamento Ocular.

"E comunque tutti quelli che scrivono 'verdeoro' scrivono una cazzata"

Te lo sei vissuto, il Brasile.

“Si, poi ho visto tutto. Sono stato in Amazzonia da solo, poi da Sao Luis del Maranhao fino a Natal, a Salvador, tutto sulla spiaggia in Jeep, ho visto posti meravigliosi. Posti isolati, dove stavano solo i locali e i turisti non ci vanno. La verità è che io, potendo, evitavo di stare in mezzo agli italiani, perché anche se molti sono simpatici trovavi sempre qualcuno un po’ squallido, che era lì per ragioni che si possono ben immaginare. Alla fine Rio De Janeiro è il luogo che mi ha preso di più e probabilmente è la città più bella del mondo: la natura, Copacabana, Ipanema, Peninsula, tutto. E poi Botafogo, la parte vecchia e Santa Teresa, che è l’unica collina in cui non ci sono davvero le favelas... anche se qualche angolo faveloso lo trovi anche lì. Il Brasile è un posto in cui devi stare sempre attento, ma devo dire che a me non è mai successo niente in cinquanta o sessanta volte in cui ci sono stato. Per carità, ci vuole anche culo".

Il Brasile di Lula e Bolsonaro

A leggere queste righe verrebbe da pensare che Paolo Beltramo sia andato in Brasile a vivere una vita più leggera. Senza dubbio è così, ma non puoi fermarti a quello: è preparatissimo perché attento e curioso, fa il giornalista. E quando le cose ti entrano sottopelle finisci per averne bisogno, così ti informi cercando di tenerti aggiornato al punto che l'altro lato dell'oceano finisce per essere come un vecchio amico. Si sarà portato in Italia un po' di saudade Beltramo, quella malinconia romantica che ti prende dentro inventata da loro, i brasiliani. Paolo conosce il Paese piuttosto bene e te ne accorgi anche chiedendogli un'opinione sulla situazione politica: "Saranno cinque o sei anni che non vado, ma ho seguito. Il problema, lo vedi dalle elezioni, è che il paese è praticamente diviso a metà. Anche se loro accusano Lula di brogli elettorali è più facile che li abbiano fatti i liberali, che in quel momento controllavano il Paese. Alla fine però esiste una cosa che si chiama giustizia elettorale: l'attacco a Brasilia è stato un po’ come con Trump negli Stati Uniti. Bolsonaro è amico di Orban, Bannon… è questa destra ‘Dio, patria e famiglia’ che c’è in giro adesso. In Brasile, come negli Stati Uniti, c’è l’aggravante di sette come l’Iglesia Universal del Reino de Dios: animisti, sette evangeliche. Va considerato anche che Bolsonaro è un ex capitano dell’esercito e in Brasile, dalla fine della dittatura, le dipendenze militari sono molto importanti: hanno tanti centri per le vacanze, club nautici, altre cose, pensioni di reversibilità… un sacco di potere. E poi c’è la Policia Federal, la loro FBI, oltre alla Rodoviaria Federal che per intenderci è la Stradale, quella che fermava gli autobus di Lula. A questo si aggiunge la Polizia di ogni Stato, ce ne sono 26, ognuno con il suo governatore. Per farla breve, è un po’ come se tutta Europa avesse i Carabinieri. Il Brasile ha sempre avuto delle destre incombenti, è un paese sudamericano. C’è tanta povertà, tanta ignoranza. E comunque negli anni è cambiato, così come è cambiato il resto del mondo: Ci sono più macchine, c'è più gente, più tensione e forse più cattiveria".

Il Carnevale, la musica e Max Biaggi a Le Mans

Torniamo a parlare del tuo Brasile, perché manca un aspetto fondamentale: sei mai stato al carnevale?

“Eh, hai voglia. A Rio non sono mai andato a vedere, però ne ho fatti tanti a Salvador e a Recife, dove si chiama carnevale di strada. A Recife la gente balla, canta e suona, e sulla strada oceanica c’è anche il Trio Eletrico, inventato da un omino che ho frequentato per un po’: andavo a casa sua a mangiare, ci conoscevamo bene. Lui, Dodò si chiamava, nel ’49 a Bahia ha messo un amplificatore, una tromba, un microfono e due chitarristi sulla sua Ford, ora il Trio Electrico è diventato un camion mobile di gente che suona. Capito? Sono stati Dodò e Osmar a inventarlo, io ho fatto un carnevale sopra il carro con Gilberto Gil e Caetano Veloso che gli rendevano omaggio”.

Ma dovresti scrivere un libro su queste storie!

“Si, in effetti dovrei. Pensa che quello del Sic non ho una sua copia autografata. Lui mi diceva ‘Paolone, diobò! Vuol dire che ti dedicherò quello del mondiale MotoGP’. Comunque tornando al Brasile mi spiace anche che Bolsonaro non sia stato minimamente attento all’ecologia. Ora su quelle terre sono tremila veleni agroindustriali che prima erano vietati e ora si possono usare, altro che glifosato. Nel 2006, per le ultime otto ore di navigazione che ho fatto sul lato destro del Rio delle Amazzoni, non c’era un albero, solo coltivazioni di soia. Fanno dei disastri che metà bastano. Le spiagge, anche quelle intonse, erano piene di corde di plastica, quelle dei pescherecci che quando si rompono rimangono in mare. Ma voglio dire un’altra cosa”.

Vai.

“Il Brasile non è verde e oro. È verde - e giallo. verde e amarelo. E la maglia della nazionale la chiamano amarellinha, cioè giallina. Tutti quelli che scrivono verdeoro scrivono una cazzata. La bandiera del Brasile è verde, amarelo e azul. Poi a me piacciono molto la lingua, la letteratura, la musica. Ci sono dei testi dei cantanti brasiliani come Chico Buarque, Gilberto Gil, Caetano Veloso… sono scritti in portoghese, se li avesse fatti Dylan sarebbero ancora più grandi”.

Dinne una.

“O Que Serà, di Chico Buarque, la radiografia dell’anima. Cosa sarà, che non ha misura e che non ce l’avrà mai, che non ha rimedio e non l’avrà mai. Ed è l’amore. Oppure Gilberto Gil, che ha fatto una canzone che dice ‘se io volessi parlare con Dio’. Io sono ateo eh, ma sai. Lui dice qualcosa del tipo ‘Se volessi parlare con Dio dovrei sciogliere i nodi della cravatta, dei risentimenti, dei desideri, dovrei leccare per terra. E poi arrivare, salire senza corda di sicurezza per trovare cosa… cosa che non avevo mai immaginato'. E poi tantissime altre, leggetele. Sono troppo belle. Anche il gergo dei banditi delle favelas è notevole. Loro sono degli stronzi ma dicono delle cose divertenti, come quelli di Città di Dio. O Carandiru, il carcere di San Paolo dove ammazzavano la gente a colpi di mitra e uno si è salvato fingendosi morto in mezzo agli altri. Ci sono un sacco di cose forti, belle, tristi”.

C’è un aneddoto, tra quelli raccontati in questa lunga chiacchierata, che è giusto lasciare per ultimo: Paolo Beltramo ai mondiali del ’94 tifava Brasile, in mezzo a un paddock tutto italiano negli anni in cui l’Aprilia faceva il bello e il cattivo tempo. Altri tempi per il mondiale, per lui e pure per il mondo del pallone: “Ricordo che eravamo nel paddock di Le Mans, in America si giocava la finale dei mondiali del ’94. Il tendone dell’Aprilia era rimasto aperto per tutti e io già dalle cinque, sei del pomeriggio avevo raccolto le lattine, riempiendole di ghiaia per fare casino... e giravo con la bandiera brasiliana! Ma per provocare eh, per ridere. Poi abbiamo preso un bidone e ci abbiamo messo lo scotch per trasformarlo in un tamburo: eravamo io, Barros, una ragazza che faceva la giornalista e il manager di Barros, pochissima gente. Ero già ubriaco prima dell’inizio della partita e senza voce alla fine del primo tempo. Poi alla fine arrivano i rigori e noi andiamo a mettere delle candele sul televisore: ‘Cazzo fate, una macumba?’, ci hanno detto. Quando Baggio sbagliò il rigore venne fuori un casino, erano tutti imbestialiti. E appena usciti, la notte, che faceva un freddo spaventoso anche se era luglio, Biaggi mi ha versato un secchio d’acqua gelata addosso. Mi sono girato e gli ho detto: “Sì, buttamene uno ogni quattro anni!”.

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