“Dieci è solo un numero. Non c’è anniversario che tenga, perché nostro figlio Marco è il minimo comune denominatore delle nostre vite ogni giorno, dalla mattina alla sera." Comincia così l’intervista al Corriere della Sera di Bologna rilasciata in occasione del decennale dalla morte di suo figlio Marco: “Fu tremendo — racconta papà Sic — telefonare alla mamma per dirgli di concedere la donazione degli organi”.
Per Paolo Simoncelli, inoltre, non è una coincidenza che il decennale della morte di suo figlio ricorra durante l’ultima di Rossi a Misano: “Strana coincidenza eh? Io dico che ognuno può pensare quello che vuole. C’è gente che pensa sia un caso tanto fortuito quanto, per questo, straordinario e unico nel suo genere. Ma c’è anche gente che pensa che non sia un caso. Avevo detto, tempo, fa che Marco sarebbe stato l’erede di Valentino Rossi. Ecco, qui tiro in ballo quel numero: dopo dieci anni del “Sic” parlano ancora tutti”.
Per poi parlare di quel giorno straziante: “Ricordo il momento in cui ho capito che non c’era nulla da fare almeno quanto la fatica profusa dal personale dell’infermeria che ancora mi colpisce, a distanza di tempo. In quel momento, quello della consapevolezza della fine di ogni speranza, entrai nella stanza e mi sedetti vicino a Marco. Gli presi la mano, quella destra che poi rimase morbida per tutto il tempo, fin quando non fu cremato. E poi… Come dimenticare l’abbraccio di Daniel Pedrosa, l’eterno rivale, subito dopo l’annuncio del decesso. A ripensare alla loro rivalità, credo che quella stretta pareggiò il conto di tutto. Sentii la sua vicinanza e la sua disperazione. Della vita di Marco? Ho troppi ricordi, troppo complicato e forse neppure intuitivo isolarli. Certo non scorderò mai la vittoria del primo motomondiale e la prima vittoria in minimoto.”
Ma come avrebbe vissuto il Sic secondo lui la pandemia? Di questo e di altro Paolo ne ha parlato a "La Verità": “A casa sua con cinque ettari di terra a disposizione. Avrebbe tirato fuori la moto da cross e si sarebbe sbizzarrito. Forse il fatto di non gareggiare un po’, ma aveva tutto il necessario per non annoiarsi.”
Per affrontare il dolore della perdita in questi anni Paolo e la moglie Rossella però non si sono mai rivolti ad associazioni di genitori senza figli nonostante le proposte ricevute. “Per non parlare di altre sette strane. Bisogna fare attenzione. Quando succede così arrivano le persone più assurde. Gente che parla con i morti. Bisogna avere i coglioni tosti per non cadere nella rete di questi personaggi. Veri e propri truffatori. Tanti ci cascano e ne diventano schiavi.” Paolo e la moglie Rossella si sono resi conto invece che quando arriva il destino non c’è niente da fare: “Ha presente la canzone di Vecchioni, Samarcanda? Ecco, lo riassume bene. Marco è morto per 10 centimetri, se Vale lo avesse preso sulla spalla anziché sul casco, oggi sarebbe ancora qui.”
L’impressione quando li si guardava era che tra il padre e figlio vi fosse un rapporto carnale: “Ah ma non creda, le nostre litigate le abbiamo fatte. Qualche calcio nel culo Marco l’ha preso. Era uno che faceva incazzare, non era il figlio santificato.”
Quando Marco morì, la sua famiglia fu avvolta da un affetto smisurato, fatto che sorprese Paolo: “Specie i primi giorni. 25.000 persone ad aspettare sotto l’acqua con l’ombrello per fare un saluto a Marco. Ma non solo la gente comune. Mi hanno raccontato di personaggi importanti che si sono messi in fila. Le televisioni Rai; Mediaset e Sky si accordarono per fare un’unica regia. Tutto questo fa pensare che qualcosa di speciale sia successo.”
Ma come si supera il dolore? “Il dolore per forza di cose o ti ammazza o lo superi. Sicuramente la nostra forza, mia e di mia moglie, è stata quella di non avere rimpianti. Altrimenti sarebbe stata veramente dura. La consapevolezza che se avessimo potuto tornare indietro avremmo rifatto le stesse cose ci ha dato e ci dà grande serenità”. Tutto quello che ad oggi Papa Sic fa, oltre che per il figlio, è soprattutto per se stesso: “Per non morire” dice. Se c’è una cosa che invece ancora non riesce a sopportare sono i minuti di silenzio: “Mi fanno impazzire. Non che contesti l’omaggio, è giusto. Però penso a questi ragazzini che muoiono per inseguire il loro sogno in un mondo dove il rumore è parte integrante della vita, il minuto di silenzio mi sembra un’assurdità”.
Paolo Simoncelli è sempre stato generoso con la stampa sebbene una volta abbia dichiarato che “La gente dovrebbe solo lasciarti in pace per un po’”, il motivo, è evidente: “È stato un modo per seguire Marco. Era sempre disponibile con i giornalisti”. E no, non era per sfuggire al famoso silenzio: "Ma no, è che Marco non mandava mai via nessuno. Questa cosa mi colpiva, perché vedevo tanti campioni che invece si sottraevano.”
Per quanto riguarda il primo ricordo di Marco sulle due ruote invece “Lui attorno ad una casa con una motina che gli avevo comprato. Una piccola Suzuki. Facevamo le gare, lui con quella io con lo scooter. Avrà avuto 6-7 anni. Poi mi ricordo quando cominciò con le minimoto. Lì ne aveva 9, che per i tempi di oggi sarebbe già tardi. Adesso cominciano a 3-4 anni, i genitori non capiscono un cazzo. Farli diventare ingarellati così a quell’età.”
Non ci mise molto Paolo a capire che suo figlio aveva la stoffa del campione “Anzitutto si divertiva come un matto. Man mano che cresceva poi, le sue doti vennero fuori. Non abbiamo mai avuto il dubbio che sarebbe diventato un grande. Ce l’aveva nel sangue. Del resto, lo aveva scritto lui stesso a 8 anni sul suo diario: “Un giorno diventerò campione del mondo.”
Quando gli si domanda se suo figlio avrebbe potuto o meno eguagliare Rossi, risponde: "Come personaggio sicuramente. Dopo Vale, ci sarebbe stato lui. Il fatto che dopo 10 anni sia ancora vivo nella memoria ne è la dimostrazione. Vende più merchandising marco da lassù che i piloti che corrono.” Mentre la vittoria più emozionante per lui fu Jerez, poiché la prima lascia il segno alla quale però ne seguirono altre altrettanto entusiasmanti.
In merito al fair play tra i piloti secondo lui il problema riguarda la direzione di gara e il far rispettare le regole “Se lasci che pilota commetta una scorrettezza senza punirlo, la volta dopo lo farà di nuovo. Se gli dai due domeniche di squalifica vedrai che se lo ricorda”. “Quando si pensa al Sic è impossibile essere tristi fino in fondo” questa frase, pronunciata da Rossi, trova d’accordo Papà Paolo “Credo abbia ragione. Quando parliamo del Sic non piangiamo, ridiamo pensando a tutte le cazzate che faceva.”
Paolo non ha rimpianti, anche se ad oggi una cosa la cambierebbe “No, l’unico rimpianto è di non avergli girato l’asciugamano sulla linea di partenza in Malesia. Lo aveva messo alla rovescia. Vedere quel numero rovesciato mi dava un fastidio che non riuscivo a spiegarmi. È l’unico rammarico che ho. Non averlo girato per non disturbarlo.”