Sono gobbo. Ci ho messo quarant’anni per dirlo pubblicamente, ma lo dichiaro. Perché come spiegava anni fa Andrea Diprè a Writeandroll Society: in Italia puoi confessare tutto tranne la tua fede calcistica. Non te la perdoneranno. Vero, verissimo. Ho visto persone perbene, studiosi, muratori, uomini di chiesa, perdere le staffe di fronte alla partita. Il direttore di questo magazine, Moreno Pisto, è il primo. Incapace di litigare con chiunque, farebbe a unghiate in faccia per l’Inter. Quando parla dei nerazzurri non capisce più niente, non è obiettivo. Gli ho mandato l’attacco del pezzo e mi ha scritto solo: fai c****e. Non lo direbbe nemmeno se gli trombassi la mamma, ma se dico che sono gobbo, cioè juventino (per i non calciofili) eccolo pronto alla rissa.
Ma sono così tutti gli interisti che forse hanno un pelo di vittimismo nel loro Dna (una patologia che ha raggiunto il suo apice con Antonio Conte che degli interisti è sempre stato il più juventino, ma da cui l’Inter è guarita mandandolo via e rinascendo), colpa di una storia radicata e di un passato difficile della loro squadra. Io sono un gobbo diverso: amo l’Inter di Moratti con la sede a Turati e di tanti miei amici perennemente incazzati con me la domenica, quella del motorino lanciato dalla curva, quella del Triplete, di Javier Zanetti e del “Fenomeno” Ronaldo, di Materazzi in Nazionale, quella di Roberto il barista di Via Moscova che quasi si faceva venire un coccolone tanto litigava con tutti il lunedì mattina.
Interisti vittimisti, ok. Così come gli juventini sono misantropi e snob, cresciuti con l'effige dell’Avvocato Gianni Agnelli (donnaiolo, amante degli eccessi ma solo nel buio delle quattro mura, una variante di un Berlusconi educata e colta, un Kennedy piemontese) e associati alla borghesia ricca che ha affossato l’Italia. La squadra gestita da una famiglia di ricchi degenerata nella vita privata e che fa macchine brutte lo capisco che irriti. Ma la mia non è la Juve ultramoderna. Non ho mai amato CR7 e quella che a tutti gli effetti credo sia una sua patologia della vittoria (e stai tranquillo Cristiano, hai vinto 100 palloni d’oro e non importa che piangi nello spogliatoio se perdiamo col Porto, anche meno dai), il suo sorriso plastico. Sono un gobbo malato ai vostri occhi perché sono nostalgico di Moggi e non sopporto questo ennesimo Agnelli (Andrea) con le sue maniere da managerino. Sono innamorato Lucianone con i suoi tre cellulari prima ancora che esistessero gli smartphone, col suo passato da faccendiere e l’aspetto da ragioniere del catasto (pelato con ricrescita ai lati, fantastico) e il dono di tenere i Pm inchiodati ore e ore per cercare di mappare le sue innumerevoli telefonate. Moggi è superato dalla sua stessa aura, la stampa che vola come avvoltoi sulle carogne disse che aveva chiuso l’arbitro Paparesta in uno spogliatoio, ma non era vero: lo dice anche Paparesta. Moggi si era solo vantato al telefono di averlo fatto. Son ragazzi… si dice dalle mie parti. Ma siamo un paese di manettari e si sa dobbiamo sempre rompere le palle. Quella squadra era devastante. Lo spiega bene Ibra alla Gazzetta: "Calciopoli? Erano balle".
Sono un gobbo anomalo, non ho mai fatto il tifo sfegatato, non ho mai litigato con nessuno per una partita. Mi guardo il Napoli e tifo il Napoli, adoro l’Inter di Simone Inzaghi lo adoro (quel suo essere così inconsapevolmente cattolico, posato, giusto, lo rende un uomo d’altri tempi) così come adoro Andrea Pirlo (l’ho rivalutato tantissimo dopo il documentario su Amazon) o Lele Adani, guardo il Milan perché c’è Ibra, godo con l’Atalanta. Insomma, faccio il tifo per tutti.
Però l’altra sera con la Roma mi sono accorto di essere gobbo dentro, perché mi sono gasato sulla rimonta con Chiellini che, santo cielo, è un orso con la testa fasciata e sapevo che Szczesny avrebbe parato il rigore ancora prima che Pellegrini prendesse la rincorsa. Lui che è stato insultato per mesi da tutti, che gli hanno rotto le scatole che non sapeva parare. Stasera non gioca perché ha fatto la prima dose due giorni fa. Meglio di lui solo Djokovic.
Insomma, stasera c’è il derby d’Italia, l’unica partita che è sempre col coltello tra i denti, il match delle risse per eccellenza dalla Primavera alla prima squadra fino alla gente in tribuna. E a noi si sa che ci piace da morire fare a botte. Ma dopo una vera rissa, quando ce ne siamo date e ne abbiamo prese, che c’è di più bello che fare la pace?