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Perché l’incontro di pugilato tra Scardina e De Carolis ci insegna che nella vita quando si accetta la sfida non c’è mai un perdente

  • di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

19 maggio 2022

Perché l’incontro di pugilato tra Scardina e De Carolis ci insegna che nella vita quando si accetta la sfida non c’è mai un perdente
Nel pugilato non ci sono scorciatoie. Se giri lo sguardo da un'altra parte ti arriva un gancio e un montante al fegato e puoi passare i dieci secondi peggiori della tua esistenza. Nel pugilato hai solo due scelte: salire sul ring, o non salirci affatto. Daniele Scardina e Giovanni De Carolis sono saliti sul ring come due prigionieri che si contendessero la vita, la libertà. Quasi patibolari, erano. Hanno dato tutto. Alla fine De Carolis ha sopraffatto Scardina, il volto (precedentemente imbattuto) del pugilato italiano. Ma la bellezza della boxe è che alla fine, nonostante la sconfitta, non c’è nessun vero perdente

di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

C'è qualcosa di profondamente ancestrale nella boxe.

Ogni giorno siamo tempestati da sponsorizzate di guru che hanno svoltato e che ti spiegano come diventare più performante, nelle ads YouTube è tutto un tutorial sulle criptovalute e sul mondo che verrà, facce sbarbate recitano mantra motivazionali per essere la migliore versione di te stesso.

Per come la mettono giù loro è facile diventare grandi, scoppiare di vita, avere soldi sesso successo. Basterà ascoltare ciò che ti dicono in delle pills di contenuti da 10, 15 minuti e vedrai che ci saranno subito dei miglioramenti. "Il mindset, il mindset", ti dicono.

Ripenso a David Diamante, anche lui un personaggio immenso, che apre il Main Event della serata. Le cinquemila persone che di venerdì 13 maggio, invece di mangiare una pizza ad alta idratazione accompagnata da una birretta, se ne stanno in modalità sauna permanente dentro l'Allianz Cloud, ad aspettare che entrino in scena Daniele Scardina e Giovanni De Carolis. Il match che scriverà la storia del pugilato italiano.

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Scardina vs De Carolis

Nella vita quotidiana ci sono tanti modi per sfangarla. Lasciare una persona su WhatsApp invece che faccia a faccia, scappare da un ristorante senza pagare tanto poi il proprietario se la sconta sul palmarista, tradire un amico scopandosi la sua ex, essere maleducati con il cassiere al supermercato che non ti può rispondere male perché sei tu il cliente che paga, inventare scuse che non possono essere verificate pur di non portare a termine un lavoro. Ci lamentiamo che la vita è una merda ma cosa facciamo davvero per prendere le palle in mano e cercare di risolvere determinate difficoltà, che siano risibili o davvero grandi? Niente, perché sempre più spesso preferiamo nasconderci, evadere, girare lo sguardo da un'altra parte.

Nel pugilato tutto questo non esiste. Non ci sono scorciatoie. Se giri lo sguardo da un'altra parte ti arriva un gancio e un montante al fegato e puoi passare i dieci secondi peggiori della tua esistenza.

Nel pugilato hai solo due scelte: salire sul ring, o non salirci affatto. Non è che suona la campana, ti arriva un diretto destro sul naso e fai "ma senti che possiamo fare più piano?". Nel pugilato devi sudare, soffrire per i carichi che aumentano, mettere il ghiaccio sugli zigomi a seguito di una seduta di guanti particolarmente violenta. Devi automatizzare movimenti che non ci appartengono perché dai, siamo seri: chi è che cerca il conflitto in questa società? Lasciate stare le guerre, pensate al quotidiano. Nella boxe il confronto è obbligatorio. Difficile imparare a colpire, anche. A farlo senza includerci niente di personale.

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Daniele Scardina è il volto del pugilato italiano. Amato e odiato, i tatuaggi, i capelli tinti, il flirt con una delle donne mediatiche più desiderate dalla nostra nazione di sessanta milioni d’opinionisti tuttologi. Ha amicizie influenti da spunta blu, vive e si allena a Miami Beach sotto lo sguardo stolido del suo coach Dino Spencer. Daniele Scardina, venti vittorie e zero sconfitte, sedici prima del limite, categoria pesi supermedi, al limite del 76.2 chili. Guerriero di Dio, finalista a Ballando con le Stelle.

Giovanni De Carolis è l’ultimo vero campione del mondo di pugilato. Michael Magnesi, ok, è attualmente iridato ma nella IBO, una federazione minore che non ha ancora ottenuto un completo riconoscimento globale. De Carolis invece ha vinto un mondiale grosso e pesante come un macigno, in trasferta in Germania, battendo il campioncino locale Vincent Feigenbutz per TKO all’undicesima ripresa, infliggendo un gancio devastante che ha piegato le gambe al buon Feigenbutz. Giovanni ha 37 anni, parla poco e pulito, vive per l’allenamento, in albergo invece di mangiare dal buffet si porta la sua schiscia con fette biscottate e burro d’arachidi.

Mettersi in gioco significa non avere la sicurezza su ciò che verrà dopo.

Daniele Scardina e Giovanni De Carolis sono saliti sul ring come due prigionieri che si contendessero la vita, la libertà. Quasi patibolari, erano. Hanno combattuto per cinque riprese. Nemmeno quindici minuti. Hanno dato tutto. Ogni fibra muscolare, tutte le azioni erano tese a fare male, alla sopraffazione. Pugni esplosivi, scapole che si contraggono come balestre. Il pubblico era tutto in piedi, ad applaudire, a urlare, uno scenario surreale per gli standard del pugilato italiano in cui persino i titoli europei si disputano in palestre perse nelle province e i paganti sono gli stessi pugili che vengono a vedere i compagni di sventura.

Giovanni De Carolis ha sopraffatto Daniele Scardina.

Lo ha messo giù, lo ha inseguito, braccato, Daniele da leone non si è tirato indietro e si è rialzato con orgoglio, cercava di contrattaccare. Era la quarta ripresa, l’arbitro li ha separati, pausa. Nella quinta era già scritto lo stop prima del limite. De Carolis, così quieto e calmo nelle apparizioni pubbliche, aveva una luce cruenta negli occhi. Voleva spaccare il mondo. Così ha fatto, ha colpito di nuovo Daniele e l’arbitro ha decretato la fine dell’incontro per TKO. Giovanni che scala l’angolo e urla “CAZZO! CAZZOOOOO!” col paradenti mezzo di fuori, le vene che pompavano sangue e lo facevano assomigliare a un Dio Greco in piena fase dionisiaca.

La bellezza del pugilato è che alla fine, nonostante la sconfitta, non c’è nessun vero perdente.

In Italia siamo abituati a polarizzare, a godere per la brutta fine di qualcuno che ci sta sul cazzo. I social si sono scatenati su Daniele. Lo hanno massacrato, definito ballerino, fake pugile da social, fighetto. Nessuno di questi hater probabilmente ha avuto modo di essere un pugile professionista.

Sapete cosa voglia dire, essere pugili? Significa prendere colpi. Stare a dieta. Allenarsi come un animale selvaggio, spesso senza garanzie su chi sarà il tuo avversario, quando combatterai, come e perché. Non sai quanti soldi avrai in tasca dopo aver preso ganci, montanti e diretti sulla faccia, che probabilmente segneranno la tua plasticità neuronale. Non sai nemmeno se riuscirai a camminare, a verdetto annunciato.

Essere pugili è un atto di coraggio immenso in un mondo che invece attutisce le colpe individuali cercando sempre di scaricarle all’esterno, fuori da noi. Se sul ring cadi sei da solo. Sì, c’è l’angolo, c’è l’avversario. Ma sei tu che finisci a terra con in bocca un sapore di sangue acido. Ti riveli nel combattimento. Viene fuori la tua anima, la tua identità, gli errori.

Il pugilato è lo sport più bello del mondo, e per una notte l’Italia ne è stata patria ed esemplificazione.

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