Da “Pioli is on fire” a “Pioli is fired” (cioè “viene licenziato) è un attimo. La Milano rossonera non perdona, si sa, ma direi che Milano in generale è una piazza difficile da far innamorare. Dai cori poco nobili dei festeggiamenti dello scudetto siamo passati ad un brusio fastidioso di malcontento generale, di chi però non se la sente di condannarlo definitamente, anche perché è pur sempre colui che li ha riportati a vincere lo scudetto dopo ben 11 anni. L’uomo dal dente avvelenato con l’Inter, ora vede il suo futuro in bilico. Che Pioli sia stato beatificato e portato in alto troppo presto? Facile dirlo ora che la terra sotto di lui trema, facile fischiare ora che si torna a casa tra la coda tra le gambe dopo 12 goal presi nelle ultime 3 partite e una Supercoppa italiana persa. E non una qualunque, ma proprio la Supercoppa contro la sua nemica numero uno, l’Inter, a cui non perdona quell’esonero tout court dopo soli 182 giorni nel 2017. Ma in sostanza che cosa sta succedendo ai diavoli? I giocatori sono quelli, Leao che con la sua velocità alla Usain Bolt ha dato spettacolo dall’inizio della stagione, poco servito sicuramente nelle ultime partite, Giroud che proprio Pioli ci ha fatto riscoprire in queste due stagioni. Si è rotto quel labile e sottile meccanismo che è alla base della motivazione, che nel nostro cervello ha dei motori ben precisi. Provate un attimo ad osservare il volto di Pioli durante le partite, dopo un goal subito, in conferenza stampa, non ha un volto sereno, non trasmette tranquillità, ma ha l’aria sconfitta di chi non pensa di portare a casa i tre punti.
Un giocatore dal campo deve guarda il suo allenatore e sentire, almeno in lui, quella grinta e quella spinta che lo portino a dire “io la palla la devo mettere dentro”. Il Milan non ha perso nulla fisicamente, non è il modulo, non è la tattica che non va, è il cervello dei giocatori che è andato in down, che ha perso quella sicurezza acquisita con lo scudetto e che forse deve sopportare delle aspettative troppo alte rispetto a quelle che sono ora le loro reali potenzialità. Perché tante squadre minori si dice che “non si chiudono, ma provano a fare la partita” contro delle Big? Perché in quel momento la squadra minore non ha nulla da perdere soprattutto in termini di faccia e di dignità, poi, certo, i 3 punti in meno o in più pesano su chiunque. Ma una squadra minore che prova ad essere leader e riesce nel suo intento, lo ha fatto non solo per le scelte tattiche azzeccate, ma perché sono privi di qualunque forma di tensione o aspettativa. Ma c’è anche un altro aspetto da sottolineare: non è che il Milan abbia vinto lo scudetto più per demeriti altrui che per meriti propri? Che lo scudetto sia loro e affisso sulla loro bacheca è un dato di fatto, ma non c’è stato lo spazio per un’analisi diversa, perché il distacco che c’è stato l’anno scorso alla vittoria dello scudetto era di due punti, non è il Napoli di quest’anno che è a più 13 punti sulla seconda e che gioca un calcio più spagnolo che italiano, gioca il calcio vero, quello bello di Spalletti, tanto contestato ma mai capito fino in fondo. Il Milan di fatto l’anno scorso ha trovato un Leao devastante e un Giroud che tirava fuori dalla cesta quei goal che spesso li salvavano al 90’.
Difficilmente sono stati una squadra dirompente, che ti facesse dire “non c’è storia” come stiamo dicendo ora del Napoli, che funziona in ogni reparto, che ha una compattezza dietro micidiale e un centrocampo che dialoga con l’attacco in modo sublime con Kvaratskhelia che serve Osimehn senza nemmeno bisogno di guardare dove sia, lui già lo sa, è come se avesse il famoso terzo occhio che aveva Lavezzi, che serviva a suo tempo Cavani a testa bassa, in no look, con pennellate che finivano esattamente sul piede dell’attaccante. Bisogna ridimensionare il Milan, ma Pioli non può più dire “il nostro scudetto sarà lottare per la zona Champions”. Non lo puoi fare non perché non sia la verità, ma perché davanti ai tuoi giocatori, alla vigilia del derby stai gettando la spugna, non stai nemmeno dicendo che sarai sicuro, certo della zona champions, ma ipotizzi addirittura che da campione d’Italia si possa passare a quinto, sesto posto. Pioli dovrebbe cambiare modo di comunicare, cercare di attaccarsi meno ai due goal in fuorigioco, a qualche rigorino non dato e scuotere i suoi giocatori, solo così potrà invertire la rotta. Dovete capire un concetto scomodo ma reale, ovvero che le immagini e le parole rimangono impresse e affisse come cartelloni pubblicitari nei meandri della nostra mente, non vanno e vengono, ma le frasi forti restano e sono difficili da mandar via. Il cervello tende molto di più a ricordare gli episodi negativi che quelli positivi, motivo per cui se fossi in un allenatore, dopo un momento del genere, farei proprio rivedere le partite perse, per far in modo che loro ricordino perfettamente dove hanno sbagliato, si sentano responsabili, interiorizzino, e proprio così tireranno fuori la rabbia, la voglia di rivalsa. Prenderei la mia squadra e gli farei rivedere Sassuolo e finale di Supercoppa, non solo ai titolorati, a tutti, fermando anche cento volte il video e analizzando le mancanze di ognuno, per responsabilizzarli, per renderli consci, consapevoli che il danno procurato è un insieme di piccoli passaggi andati male, fatti con la testa altrove. Per vincere serve la giusta mentalità, e questo Mourinho ce lo ha insegnato, aveva una grinta che rendeva tutto possibile e i giocatori questo lo hanno sempre percepito. Un buon allenatore deve essere anche un buon motivatore, e se lui stesso è scarico deve saper chiedere aiuto a chi possa motivare la squadra insieme a lui.