Doveva essere (in realtà è perché, almeno sul sito di Telelombardia, lo vedremo) un racconto dettagliato e appassionante, frutto di un’incredibile mole di materiale passato al setaccio: “Non solo il nostro materiale d’archivio e le immagini del processo, ma anche diverse intercettazioni inedite e le testimonianze dei protagonisti”. Ad affermarlo è Fabio Ravezzani, direttore di Telelombardia e supervisore di “Calciopoli: ultimo atto”, il documentario firmato da due dei suoi giornalisti più validi, Claudio Garioni e Pino Vaccaro. Avremmo dovuto vederlo a partire dal 15 luglio, data in cui era atteso su Prime, la piattaforma di Amazon. E invece nada. Così, qualche giorno fa Ravezzani scrive, via X: ““Incredibile. La nostra docuserie su Calciopoli non sarà disponibile su Prime Video […] All’ultimo istante ci è stato negato il via libera, nonostante fosse già stata fissata la data di uscita. Forse, anche a vent’anni di distanza, Calciopoli continua a incutere timore a qualcuno. Quando abbiamo deciso di realizzare un’indagine approfondita sull’intera vicenda, la nostra intenzione era quella di non partire da pregiudizi o conclusioni già scritte. Abbiamo voluto dare spazio a tutte le voci coinvolte (dal pm Narducci a Luciano Moggi, dai magistrati ai giocatori, fino ai giornalisti), per cercare di comprendere se, alla fine, sia stata fatta veramente giustizia”. Gulp! La domanda è quindi una e inevitabile, e sgorga spontanea da queste righe di Ravezzani: a chi dà fastidio, ancora oggi, Calciopoli?


Una prima risposta arriva da Gianfelice Facchetti, figlio di Giacinto – bandiera nerazzurra –, che ha accolto con ironia lo stop: “Grazie ad Amazon per evitarci l’ennesima tarantella su una storia che ormai conoscono anche i muri”. Mah, forse i muri non sanno proprio tutto sul più grande scandalo della storia del calcio. Ospite di Massimo Zampini sul canale Juventibus, Ravezzani sottolinea alcuni punti: “Dopo 20 anni si può dire che l’opinione pubblica è ancora divisa fra innocentisti e colpevolisti”. Nessuna via di mezzo, suggerisce. Ed è qui che il suo documentario sarebbe stato provvidenziale. Poiché poggia su due cardini preziosi, nel caso (e questo lo è) in cui l’analisi si fa storica: la prospettiva, necessaria per uscire dalle logiche del tifo, e un’attenta rassegna di tutte le fonti possibili. “Un lavoro enorme”, continua Ravezzani, in cui sono stati interpellati tecnici, presidenti, calciatori, legali, giudici. Dieci puntate da quaranticinque minuti l’una, suddivise fra Juventus, Milan e Inter. Non solo Juve, quindi, ma anche le milanesi, che all’epoca uscirono pressoché indenni dai processi, soprattutto se si considerano, di contro, le mazzate – su tutte la retrocessione in Serie B – inferte ai bianconeri. “Calciopoli è stata una resa di conti fra i potentati economici e politici rappresentati da tutti i club coinvolti”, osserva Ravezzani. La Juventus post-Agnelli divisa in clan, e poi Silvio Berlusconi (Milan), Marco Tronchetti Provera (Inter e Telecom), Diego Della Valle (Fiorentina), Franco Carraro (coinvolto con la Lazio): tanti potentati che a un certo punto, sostiene Ravezzani, convergono su un’idea comune. Mandare in B la Juventus sarebbe cosa buona e giusta. Questo senza nascondere tutte le telefonate fatte (troppe!), soprattutto da Moggi & company, ai designatori arbitrali. Ma attorno a Calciopoli c’è stato tanto altro. Questo altro che oggi ancora intimorisce e infastidisce. Tanto che oggi “Calciopoli: ultimo atto” non è disponibile. “La verità non accontenta nessuno”, dice Ravezzani alludendo al commento di Facchetti. “Questa è la ragione dello stop di Prime. La verità non dà fastidio a Prime, ma ad altri”. L’inchiesta però uscirà, promessa del direttore di Telelombardia: “Stiamo cercando altre piattaforme. La docuserie è stata proposta anche a due emittenti nazionali, che sembrano interessate”. Noi, cautamente, scommettiamo su TV8.
