C'è qualcosa di rassicurante nel tornare a un luogo familiare, anche quando quel luogo è un'agenzia di comunicazione piena di disastri umani e idee improbabili. La seconda stagione di Pesci Piccoli, la serie comedy dei The Jackal prodotta da Mad Entertainment e disponibile su Prime Video, non rivoluziona la propria formula – e per fortuna. Al contrario, affina il proprio tono, si diverte con maggiore consapevolezza e conferma che i The Jackal hanno trovato un loro spazio nella serialità italiana, piccolo ma brillante, proprio come i “pesci” del titolo. Le vicende riprendono da dove le avevamo lasciate: all’interno di un’agenzia pubblicitaria di provincia, dove ogni giorno è una lotta tra sopravvivenza professionale e delirio creativo. I protagonisti – interpretati, ovviamente, dagli storici membri del collettivo – sono figure goffe, nevrotiche, iperboliche, eppure sempre affettuosamente umane. Non ci sono grandi svolte narrative né un arco drammatico marcato: Pesci Piccoli resta una comedy corale costruita su episodi autoconclusivi, sketch travestiti da sitcom, con un ritmo sincopato e una scrittura che si muove agilmente tra il nonsense, l’ironia meta e una certa malinconia da trentenni spaesati. La forza della serie, come sempre, sta proprio qui: nella sua leggerezza consapevole, che riesce a intrattenere senza fare finta di avere la risposta a tutto. I The Jackal conoscono bene il loro pubblico e la grammatica del web da cui provengono. Ne fanno tesoro, trasformandola in narrazione episodica con un’identità precisa. Chi ha apprezzato i loro sketch virali o il film Addio fottuti musi verdi ritroverà lo stesso stile: dialoghi serrati, situazioni paradossali, gag visive, ma anche un certo gusto per l’assurdo quotidiano che ricorda, a tratti, la comicità più surreale di Boris o Scrubs.

Tra gli episodi, spicca senza dubbio quello che potremmo definire la 'citazione della stagione' – un vero e proprio momento cult in divenire. Dopo il riuscitissimo omaggio a The Office nella prima stagione, questa volta i The Jackal alzano l’asticella della nostalgia e mettono in scena un episodio interamente ispirato a La Melevisione, storica trasmissione Rai per bambini cresciuti negli anni Duemila. Il colpo di genio non sta solo nella perfetta ricostruzione estetica (con il formato in 4:3, la fotografia pastello e i costumi da Bosco di Mezzo), ma anche nell’aver reso quell’universo infantile un campo da gioco per i meccanismi narrativi della serie. L’effetto è esilarante e struggente allo stesso tempo, un piccolo omaggio alla nostra infanzia travestito da sketch satirico, con tanto di guest d’eccezione che – senza spoiler – farà la gioia di chi ricorda con affetto Milo Cotogno e compagnia. Lontana dall’ambizione autoriale o dalle velleità sociali di molte comedy recenti, Pesci Piccoli sceglie di restare sé stessa: una serie che fa ridere senza fare troppo rumore, che punta sulla familiarità dei volti, sulla chimica del gruppo, su dinamiche semplici ma efficaci. C’è una cura evidente nella regia, nelle scenografie e nei costumi, ma tutto è sempre al servizio del tono giocoso e “low profile” che contraddistingue i The Jackal fin dagli inizi. Anche quando ironizzano sul mondo del lavoro, sulla crisi creativa o sul precariato sentimentale, lo fanno senza cinismo, con la grazia di chi sa ridere di sé prima ancora che degli altri. In definitiva, la seconda stagione di Pesci Piccoli conferma che i The Jackal non sono solo un fenomeno web, ma un collettivo capace di declinare la propria voce in formati diversi, con coerenza e intelligenza. Non inventano nulla, non cercano di stupire con effetti speciali, ma costruiscono – un episodio dopo l’altro – una comicità gentile, a tratti demenziale, sempre riconoscibile. E, nel mare magnum delle produzioni seriali contemporanee, è un merito tutt’altro che piccolo.
