Carlo Pernat, che da direttore sportivo dell’Aprilia gli ha fatto firmare il primo contratto professionistico (“un triennale che partiva dal 1995 per correre l’Europeo con Mauro Noccioli, per poi passare nel Mondiale 125: 30 milioni di lire il primo anno, 60 il secondo e 180 il terzo”), celebra Valentino Rossi dopo il suo ritiro. Ma, in linea con il proprio essere persona schietta, non ne fa un ritratto idealizzato.
Dopo la telefonata di Aldo Drudi che lo convinse ad andare a vederlo, Pernat racconta alla Gazzetta che scoprì “innanzitutto un ragazzino simpaticissimo. Sembrava un paggetto, un po’ come me, senza peli sulla lingua, la battuta pronta, anche un po’ rompico... eh. E poi in pista faceva traiettorie che, come ho detto spesso, mi fecero pensare che era un pazzo o un campione. Mi innamorai subito. Andava anche dritto, faceva errori e cadute, ma aveva qualcosa diunico. Ricordava davvero Kevin Schwantz, anche come simpatia. Che poi Kevin non ha vinto tanto, solo un Mondiale, ma io cercavo gente simpatica. Lasciamo stare i vari Biaggi, Reggiani, Gramigni: a me piacevano quelli un po’ pazzi, simpatici a impatto e che in moto facevano cose diverse”.
All’inizio Valentino cadeva tanto: “Belìn, faceva delle mine... Però il talento lo vedevi e io sono convinto che la sua fortuna sia stato Noccioli, che era uno bello duro. I due erano agli antipodi come carattere, però questa diversità li ha portati a essere attratti l’uno dall’altro. Anche se poi, a fine ’97, Valentino non lo sopportava più e quindi dovetti inventarmi l’operazione Rossano Brazzi con lo scambio con Capirossi”. E qui si inserisce il tema “psicologico”: “Vale è uno che, se trova dei lati che non gli piacciono, per un po’ ci sta ma quando è stufo chiude la porta definitivamente, anche se va contro di lui. A volte ha preso decisioni a seconda dell’umore del momento, non è mai stato un programmatore. Non dico che ha sempre vissuto alla giornata, ma a breve termine sì. Guardate quella cavolata della conferenza in Malesia 2015 con Marquez. Se ci avesse pensato bene, non l’avrebbe fatta”.
Sempre in tema di approccio mentale, Pernat ricorda che chiamava Rossi “Black&Decker”: “Il trapanatore, perché la sua testa era così simpaticamente forte, che prendeva in giro tutti. Non lo faceva neanche scientemente o di proposito, era proprio il suo carattere e in quello è rimasto sempre uguale. Guarda l’addio di Valencia, tutti piangevano ed erano emozionati, lui no, si è divertito”.