La notizia è di poco fa: Danilo Petrucci tornerà in MotoGP in sella alla Suzuki di Joan Mir in occasione del Gran Premio della Thailandia. I contatti con Livio Suppo c’erano già stati da tempo, ma c’era anche un altro impegno da onorare: l’AMA Superbike con Ducati, in cui Petrucci ha conquistato il secondo posto, laureandosi quindi vicecampione del MotoAmerica, alle spalle di Jake Gagne. L’imprendibile Gagne. “E’ stato più forte e più veloce – ha ammesso il pilota di Terni – Sull’asciutto non abbiamo mai avuto una vera battaglia e quindi non ci siamo mai confrontati in un vero corpo a corpo. Il secondo posto in classifica assoluta, comunque, è una soddisfazione per me, ma ancora di più lo è l’aver lottato fino all’ultima gara, alla prima esperienza in un campionato che non conoscevo e che è del tutto diverso da quelli a cui ero abituato”.
Petrucci che perde. Danilo che vince. Un po’ come tutta la carriera di un pilota che s’è rimesso sempre in gioco, davanti a ogni sfida, in sella a qualunque cosa avesse un paio di ruote e un motore. Come se correre e competere fossero tutto ciò che conta davvero. Come se vincere o perdere fosse, invece, solo una conseguenza possibile, e contraria, di una vita a gas aperto. Come se la carriera di questo ragazzo, partito da Terni con meno mezzi degli altri e una corporatura non proprio da pilota, rappresentasse la metafora perfetta della vita di tutti: sempre a barcamenarsi per esserci. Portando, però, un messaggio che è meraviglioso: anche dopo una sofferenza (come può essere quella di una sconfitta), arriva una gioia. O comunque una nuova occasione.
E’ stato così, per Petrucci, dopo che KTM lo ha buttato fuori dalla MotoGP al termine di una sola stagione, per fare spazio a due ragazzini che poi sono stati buttati fuori a loro volta. Chiunque avrebbe detto basta. Chiunque, ma non Danilo. Perché correre e provare a competere è, appunto, tutto ciò che conta davvero. Così ha rispolverato un sogno, cercato una moto che avesse i tasselli sulle ruote e se ne è andato a fare la Dakar. Senza pretese: solo per correre e provare a competere. Fino, però, a vincere una tappa, entrando nella storia del motorsport. Ma anche “vincere”, alla fine dei conti, è quasi un “incidente”, qualcosa che capita. Che regala gioia, ma non sempre basta.
Avrebbe potuto accontentarsi nuovamente lì, con una chiusura in gloria, con un riscatto che avrebbe stampato un ghigno eterno sul volto di chiunque. Di chiunque, ma non di Danilo Petrucci. Che invece, come un Ulisse nato e cresciuto a Terni, s’è rimesso su la tuta da pilota da corsa. Dall’altra parte del mondo. Rispolverando un’altra volta un altro vecchio sogno: vivere negli States. “Volevo vivere negli States – disse poco più di un anno fa – e me la cavo con le moto. Ho semplicemente unito le due cose: vado a fare l’AMA Superbike con Ducati”. L’ha detto e l’ha fatto. E c’è mancato niente che non centrasse il colpaccio. Perché nell’AMA Superbike Danilo Petrucci è andato forte di brutto, ha vinto qualche gara, ha pure rischiato la pelle, e alla fine è arrivato all’ultimo gran premio con la possibilità di vincere il titolo. Ha corso, ha provato a competere, ma ha perso. Jake Gagne, il suo rivale di tutta una stagione, è stato più veloce. E lui, Danilo Petrucci, l’ha ammesso.
Senza stare a dire – aspettando che avvenisse per canali ufficiali – che era già pronta un’altra avventura. Questa volta con Suzuki. Un’avventura che magari sarà breve, visto che Joan Mir dovrebbe rientrare dopo la Thailandia dall’infortunio, ma che è in qualche modo una vittoria. L’ennesima dopo una sconfitta. A dimostrazione, ancora una volta, che se ti chiami Danilo Petrucci, ma se ti chiami con qualunque nome, vincere o perdere è mero accadimento. Vivere, invece, è correre, competere, meritare, provarci ancora o, se vogliamo, trasformare e trasformarsi.