Ai Bagni Romina di Misano Adriatico è tempo di cominciare a pensare ai lavori di fine stagione e Pierfrancesco Chili è lì, in quello che definisce “il suo regno sulla spiaggia”, con uno stivale al piede destro e una ciabatta sull’altro. Sta lavando un ombrellone, mentre indossa una maglietta grigia con la scritta “the boss”. Osservo un po’ prima di farmi avanti, c’eravamo sentiti ieri e sapeva di questa intervista, ma vederlo mentre sbriga tutti quei lavoretti che si fanno quando la stagione sta per finire fa pensare ad un rito che si ripete da vent’anni. E che non hai voglia di interrompere. Passerò più tardi, mi dico, mentre due coppie un po’ avanti con gli anni arrivano e sbirciano, guardandosi intorno. Poi Frankie Chili si volta e una delle due signore tira un grido: “È lui, è Chili, lavora davvero qui. Giriamo l’Italia seguendo le corse di moto e ti abbiamo visto un sacco di volte, Misano 1989 non lo dimenticheremo mai con tutta quella pioggia. Resteremo qualche giorno, possiamo affittare una postazione?”. Lui fa il padrone di casa, pattuisce il prezzo con tanto di sconto “speciale fine stagione” e li accompagna ai posti. Foto di rito con pollice alzato e torna. Bene, mi dico, a interrompere il rito ci ha pensato qualcun altro; mi presento.
“Eccoci – dice – questo è il mio regno. Qua a Misano è cominciata ogni cosa importante della mia vita. Ho conosciuto mia moglie, ho vinto la prima gara della mia carriera e pure l’ultima, ho investito qui i miei risparmi. Lo stabilimento – continua indicando la spiaggia con i suoi ombrelloni gialli – era del nonno di mia moglie: un gran personaggio. Non andavamo molto d’accordo, ma c’era grande rispetto. Credo che non mi avesse mai amato particolarmente perché gli avevo portato via il suo tesoro. In effetti mia moglie Romina è un tesoro davvero, stiamo insieme da un sacco di tempo ed abbiamo una bellissima famiglia. Mica come adesso che i piloti si lasciano due volte a settimana. Però lo so che te sei qua per parlare di motociclette, quindi chiedi pure”.
Fa tutto lui Frankie Chili, che nel frattempo è andato a sedersi su una panchina che ha gli stessi colori dei muri esterni delle cabine dei Bagni Romina, invitandomi a smettere di stare in piedi. Ma quell’entusiasmo nel vederlo parlare di lavoro, di investimenti, di un luogo che per lui è il paradiso e l’inferno insieme mi ha spiazzato. E non chiedo niente, se non di continuare, di andare avanti con quello che ha voglia di dirmi. “Qui ho fatto quasi tutto con le mie mani dopo aver rilevato questi bagni dal nonno di mia moglie e ultimamente ho investito tantissimo in questa cittadina – aggiunge raggiante – appartamenti che affitto in estate, una palazzina l’ho finita appena pochi mesi fa. Ma non mi rivolgo mica alle agenzie, io voglio vedere in faccia chi metto dentro le mie proprietà e se non mi garbano non me ne frega niente di perdere denaro”.
Praticamente è un lavoro nel lavoro. “Sì, gestire è un lavoro che impegna tantissimo. Ma mi piace e non mi pesa, neanche adesso che ho qualche problema”. La sua mano destra mentre parliamo ha dei tremori, la guardo ma non chiedo, temendo la risposta e, forse, immaginandola anche. Chili però se ne accorge e con quegli occhi di ghiaccio che lo hanno reso celebre nel motorsport se ne esce a bruciapelo: “Il corpo umano non è mica diverso da una moto: quando la moto vibra troppo vai dal meccanico. Io vibravo troppo e sono andato dai dottori. Due mi hanno rassicurato, un terzo, però, ha voluto vederci più chiaro e mi ha prescritto un esame: ho il Parkinson. Ormai sono due anni che me lo hanno diagnosticato. È stata una bella botta, ma io sono un pilota e i piloti si rialzano finchè hanno vita. Sono caduto un mare di volte, anzi qualcuno pensa che questa malattia possa essere conseguenza di quelle botte in testa e di una trauma cranico in particolare rimediato tanti anni fa, ma io non me lo chiedo. È così e basta e bisogna guardare avanti. Prendo dei medicinali che tengono a freno il decorso, riesco a fare praticamente tutto e dove non riesco mi faccio dare un aiuto. Lo scorso anno a marzo sono anche andato in Australia per girare in moto con Troy Baylis: è stato divertente con questi tremori, vibravo più io della moto, ma non lo farò più, perché è stato anche pericoloso”. D-i-v-e-r-t-e-n-t-e, ha usato esattamente questa parola, mettendoci pure un sorriso sopra.
Eccola la lezione di Pierfrancesco Chili, che poi ricomincia come se non avesse detto nulla di strano. Ma è una cosa che posso scrivere? – gli chiedo imbarazzato. “Certo – scherza – voi giornalisti ne scrivete tante di fesserie, figuriamoci se non puoi scrivere la verità. La mia famiglia lo sa, chi deve saperlo lo sa. Certo, non ho fatto comunicati stampa per annunciarlo, ma stiamo facendo una intervista e lo dico senza problemi, non è mica un segreto. E poi questa del Parkinson non è stata la prova più dura della mia vita: nel 1994 rimasi senza moto, a piedi, fuori dal Mondiale e mi resi conto che chi ti porta alle stelle il giorno dopo ti considera uno zero assoluto. Lì sì che ho sofferto tantissimo, ma ho reagito pure quella volta. Mettendo a fondamento di ogni cosa ciò che è veramente importante. Il matrimonio, la famiglia, i figli, i lavori in questo stabilimento: le cose che contano davvero. Poi, quando avevo sistemato la mia vita vera, ho anche pensato di correre ancora”. Quasi per scherzo, riaprendo una carriera che sembrava finita nel peggiore dei modi, con una semplice battuta ad un amico. “Veniva al mare qui un dirigente della Superbike e gli dissi se aveva voglia di farmi provare quei cancelli che chiamavano moto da corsa. Consideravo la Superbike meno della SerieB e invece quando provai al Mugello dissi ‘Diobo’, queste sono moto da corsa vere’! Me ne sono innamorato. Ed è così che ho ricominciato, legando il mio nome alla Superbike. Ma non aver vinto un Mondiale con la Ducati ufficiale è ancora oggi un rammarico grande, la Ducati è qualcosa che ti entra dentro, che ti crea un legame, e oggi, anche se lui non lo ammetterà mai, capisco quanta e quale sofferenza possa vivere Andrea Dovizioso dopo aver annunciato la separazione e quanta paura possa avere di non riuscire a vincerlo questo titolo”.
La Ducati, la sua storia, ma anche il presente, con Pierfrancesco Chili che torna a parlare della sua malattia: “Chi conosce un po’ la mia carriera, non solo di pilota ma anche di telecronista, conosce anche quanto io sia di facile incazzatura (il vaffa a Max Biaggi che gli costò il posto a LA7 è ancora oggi leggenda nell’ambiente, nda). Adesso, invece, devo tenere a freno i nervi. Non ci crederai, ma sto imparando. Però quando vedo come è ridotto oggi il motorsport e ancora di più la Superbike un po’ mi arrabbio ancora: è una questione di colori”. Ma che c’entrano i colori? – gli chiedo temendo di aver perso il filo o qualche battuta e Pierfrancesco Chili azzarda un sorriso, pur restando serissimo: “Adesso il motociclismo è verde come il denaro, prima era rosso come il sangue. Però se riporti questa frase, sia chiaro, non voglio che si facciano riferimenti di sorta alla politica, perché la politica non c’entra assolutamente niente. C’entra, invece, la perdità di umanità, il voler inseguire il politicamente corretto in uno sport che invece è fatto di istinto e veemenza, c’entra la pretesa di fare spettacolo senza considerare l’unica cosa veramente spettacolare che abbiamo: il cuore. E chi corre in moto, almeno fino a quando corre in moto ed è in pista, ce l’ha immenso il cuore. Perché il valore della vita, forse, riesce ad apprezzarlo in pieno solo chi la vita la rischia”.