Dani Pedrosa non parla moltissimo, ma quando lo fa gli spunti per un titolo non mancano mai. Perché con quel garbo quasi timido che ha, con quel modo di fare pacato e grazioso, riesce pure a buttare là qualche frecciatina che finisce inevitabilmente per non passare inosservata. E’, con tutta probabilità, anche quello che ha fatto di recente, quando, raccontando ancora le fasi cruciali della sua carriera, ha voluto soffermarsi sulle differenze tra l’essere pilota nel recente passato e l’essere pilota adesso.
Lui, ad esempio, ha corso per tutta la sua carriera con lo stesso problema che ha avuto Marc Marquez: la spalla ruotata. Marquez è finito sotto i ferri, Pedrosa è rimasto sopra le moto. “A me è successo quando ero piccolo – ha raccontato - Ho corso nel campionato spagnolo e quando sono andato ai Mondiali sono caduto e non volevano operarmi. La mia spalla si è girata verso l'interno perché è guarita male. Sono state tante le gare in cui a causa di questo problema ho dovuto fare tanta fatica per le difficoltà fisiche, ma prima importava poco. Ora è diverso”.
E’ diverso, secondo Pedrosa, anche perché diversi sono gli occhi di chi guarda. Prima si vedeva solo lo spettacolo sul palco, adesso anche il dietro le quinte fa parte dello spettacolo, con gli appassionati che possono sapere proprio tutto e ogni cosa che è inevitabilmente più alla luce del sole. Questo ha portato anche a una diversa consapevolezza da parte dei piloti che, forse giustamente, adesso hanno anche più a cuore anche la loro salute, oltre che la loro sicurezza. “Il motociclismo – ha proseguito il collaudatore della KTM - è uno sport individuale. Se fallisci, qualcuno prenderà il tuo posto e se ti fai male seriamente è finita. Io volevo vincere e non dovevo troppo pensare a tutte queste cose. L'importante era essere al top e ottenere un buon risultato. Dovevi stare zitto e non fare storie. Bisognava accontentarsi di quello che si aveva e se ti lamentavi ti etichettavano come piagnucolone. Le persone ora vedono più cose che prima non potevano vedere. Stiamo comunicando meglio e tutti ora sono più consapevoli di com'è questo sport”.
Uno sport che non faceva sconti prima e che, tutto sommato, non li fa neanche adesso, anche se l’atteggiamento dei piloti è totalmente diverso e c’è maggiore sensibilità e maggiore rispetto pur restando un ambiente spietato, dove tutti vogliono una cosa sola: vincere. Solo che adesso, rispetto al passato, anche vincere è forse un po’ più facile, o comunque meno macchinoso. Un po’ perché le moto sono tutte più o meno simili nelle prestazioni, un po’ perché il livello dei piloti sul piano del talento è relativamente equo (non ci sono più i tre o quattro extraterrestri che facevano la differenza su tutti) e un po’ anche perché per ottenere i materiali migliori non bisogna sgomitare come un tempo. “All'epoca in cui siamo entrati noi della vecchia generazione, con i due tempi, dovevi segnare il percorso e dovevi guadagnare il materiale con cui poi correvi per diverse stagioni. Ora arrivi e ti danno quasi subito lo stesso materiale utilizzato dal vincitore”.