Se si dovessero usare solo due parole per sintetizzare l’intervista di AS a Pol Espargarò, sarebbero sicuramente: “frustrato e fiducioso”. Perché i risultati per Pol Espargarò non stanno arrivando e perché, però, il lavoro sembra cominciare a pagare, con il feeling con la RC213V che migliora ogni volta. Difficile, però, capire quanto tempo avrà ancora lo spagnolo per dimostrare di saper essere all’altezza del team più titolato degli ultimi decenni, anche perché il prossimo anno scadranno molti contratti, tra cui quello di Joan Mir. Un futuro a cui, per ora, Espargarò non pensa, restando invece concentrato sulla situazione attuale: “È difficile – ha detto - Se avessi qualcosa che potrebbe cambiare le cose, lo avrei già usato. Se le cose continuano ad andare male è perché non sono in grado di cambiarle. Questo mi frustra, ovviamente, perché non vedo una soluzione a breve termine, ma a lungo termine. Sono sicuro che per il prossimo anno ci saranno cose che andranno meglio. A cominciare dalla moto, che cambierà completamente. Il motore sta per cambiare completamente e penso che per molti aspetti quello attuale sia uno dei problemi per me. Ma, a breve termine, non c’è quasi niente all’orizzonte”
Il motivo, come spiega lo stesso Espargarò, è da ricercare nel modo di lavorare degli ingegneri giapponesi, decisamente diverso dal metodo europeo: “Non mi piace fare paragoni, ma la cultura europea è quella con cui sono più abituato a lavorare ed è più immediata, spontanea e improvvisata. Allo stesso tempo, è una cosa che mi piace della Honda, perché non avrai mai problemi perché qualcosa è stato improvvisato”. Piccoli step, percorsi tracciati e nessuno spazio per l’improvvisazione, quindi, in casa Honda. Neanche quando a parlare è Marc Marquez, con Pol Espargarò che sulla questione smonta un luogo comune: “Il modo in cui pensano molti giornalisti è che la Honda fa quello che dice Marc, invece non è affatto così – ha affermato - Tendi a pensarlo, ma non lo è. Ci sono alcuni ingegneri che cercano di fare una moto migliore, raccogliendo le sensazioni che arrivano da ogni dove. Se fosse così facile andremmo tutti veloci con tutte le moto. Marc, io e i piloti del satellite spieghiamo i nostri problemi e gli ingegneri li interpretano a modo loro. Se fossero piloti sarebbe diverso, perché vedrebbero le cose più come noi”.
Non sembra esserci polemica nelle parole del pilota, ma è chiaro che lo spagnolo vuole sottolineare un modo di lavorare che, probabilmente, non tiene abbastanza conto delle indicazioni dei piloti stessi, neanche quando rispondono al nome di Marc Marquez. Anche perché tra chi guida la moto in pista e chi lavora per renderla migliore c’è una figura di raccordo: Alberto Puig. “Si tende ad avere una visione di Alberto molto diversa dalla realtà. Sembra uno molto ostile, quasi un nemico. Invece Alberto è uno zio molto vicino, che contribuisce molto, che incoraggia molto ed è molto motivante. Nei momenti difficili, come quello che sto attraversando ora, aiuta tantissimo il pilota. Sta vicino a me, così come sta vicino a Marc. A proposito di Marquez: è bello averlo come compagno di squadra. Non vedo una parte negativa. Certo, se sei debole mentalmente un compagno così ti fa sprofondare perché è molto facile che faccia meglio di te. Ma io ho sempre desiderato il compagno di squadra più veloce e che i satelliti della tua fabbrica avessero il tuo stesso materiale. È il modo più veloce e diretto per migliorare”.