Negli ultimi mesi Lorenzo Musetti sembra diventato l’emblema perfetto della parabola all’italiana: si sale sul piedistallo e, con la stessa rapidità, si precipita giù. A decidere il destino non è solo il rendimento sul campo, ma anche, e soprattutto, il giudizio ballerino degli stessi esperti e commentatori che a primavera, dopo una serie di vittorie convincenti e prestazioni di spessore anche contro Alcaraz, lo collocavano nella top 5, o addirittura nella top 3 tra Carlos e Jannik Sinner. Oggi, di fronte a un filotto altrettanto lungo di sconfitte, lo stesso coro parla di “crisi nera” e di talento smarrito. Un atteggiamento provinciale, che poco si addice a uno sport come il tennis e che in realtà non dovrebbe appartenere a nessun tipo di analisi seria. Il match di Cincinnati è stata l’ultima tappa di questa discesa. Musetti è stato eliminato già all’esordio dal francese Benjamin Bonzi, confermando un momento difficile che dura ormai da settimane. Dalla ripresa post-infortunio, il cemento che, ricordiamolo, non è la sua superficie ideale, anzi, non gli ha regalato soddisfazioni e, soprattutto, lo stesso copione si è ripetuto più volte: parte bene, vince il primo set, poi si spegne, lasciando campo all’avversario. Era successo con Norrie, poi con Michelsen, ed è successo ancora.

A fine partita, lo sfogo di Lorenzo è stato eloquente: “Sul 40-15 ho fatto la cazzata e ho perso il game. Faccio rinascere anche i morti. I morti che camminano! È la mia forza”. Una frase che fotografa bene il momento: frustrazione, consapevolezza dell’errore, ma anche un’ironia amara che lascia intravedere la voglia di non abbattersi. Il rischio, adesso, è che il racconto intorno a Musetti cancelli in blocco i progressi e il lavoro di mesi. Il tennis, però, è uno sport di cicli lunghi, dove la forma si costruisce e si perde in un arco di tempo più ampio di qualche settimana. E la stagione non è finita: lo Us Open è alle porte, e lì si vedrà se Lorenzo saprà trasformare questo momento di difficoltà in un’occasione di rilancio. Ma quello che è fondamentale ribadire, e lo abbiamo visto anche nel caso di Matteo Berrettini che è stato massacrato dalla stampa, è che dare giudizi affrettati, a maggior ragione in uno sport in cui la mente fa da padrona, non solo rende squilibrata la narrazione, ma non consente di avere un punto di vista omogeneo su percorsi che andrebbero giudicati sul lungo periodo. È stato troppo presto dire che Musetti era da top five (nonostante, tra l'altro, il bronzo olimpico), così come è troppo presto oggi parlare di crisi nera. Anche se non fa fare clic, anche se le sentenze fanno più hype della moderazione, ci sono momenti in cui, se si ama davvero (o anche solo se si vuole capire bene) questo sport, sarebbe il caso di osservare invece che sentenziare.