Si continuano a leggere notizie su Matteo Berrettini ma, purtroppo, non riguardano i match. Il suo nome compare ancora sui giornali, nei comunicati stampa, ma per rimarcare l’ennesima assenza. E ormai sembra quasi un’abitudine, una notizia che non sorprende più nessuno. Per Paolo Bertolucci, però, è un silenzio che fa rumore. Perché il crollo, a suo giudizio, non è cominciato oggi né con l’ennesimo problema fisico, ma da un momento ben preciso: quando Berrettini ha deciso di separarsi da Vincenzo Santopadre, l’allenatore che lo aveva accompagnato lungo tutto il suo percorso professionale, molto più di una semplice guida tecnica. È lui l’uomo chiave dietro il successo del martello che oggi, però, guida Lorenzo Sonego. “È stato lui a dare lo scossone definitivo al movimento nazionale”, ricorda Bertolucci, sottolineando quanto il contributo di Berrettini sia stato fondamentale per rilanciare il tennis italiano dopo quanto fatto da Fognini. “Con la semifinale agli Us Open, poi quella all’Australian Open, fino alla finale di Wimbledon 2021 contro Djokovic, ha portato l’Italia ai vertici mondiali”. E infatti Matteo era arrivato fino al numero 6 del ranking Atp. In quel momento, il sorpasso verso la top five sembrava solo questione di tempo.

Poi, qualcosa si è rotto. E no, non è stato solo il fisico a tradirlo. Le ricadute e gli infortuni c’erano anche prima, ma mai così destabilizzanti. Il problema, secondo l’analisi dell’ex campione è che non si è più ritrovato. “La seconda parte della scorsa stagione ci aveva illuso: sembrava tornato in salute, finalmente fiducioso. Invece da lì è iniziato un altro calvario”. A rendere più evidente la crisi è stato il caos totale nel suo team: allenatori, preparatori, fisioterapisti, collaboratori, entrano ed escono come da un revolving door. “E tutto è deflagrato nel momento in cui ha lasciato Santopadre. Da lì non ha più ritrovato la bussola”. È stato quello, con ogni evidenza, il momento zero della sua parabola discendente. Da quel punto in poi, è stato un lento allontanamento dal tennis giocato, anche se Matteo ci ha provato in tutti i modi, ha provato a non mollare. Eppure, anche quest’anno Berrettini è praticamente sparito: “Alla soglia dei trent’anni, sembra non riuscire più a districarsi tra problemi fisici e blocchi mentali”, scrive Bertolucci. E aggiunge: “Lo spettro di un ritiro anticipato comincia a farsi strada”.

Il timore è che questa volta non sia solo una fase, ma una crisi. Il tennis italiano, sottolinea ancora Bertolucci, perderebbe non solo un giocatore forte e completo, ma un simbolo di eleganza e dedizione, uno che ha sempre onorato la maglia azzurra, dentro e fuori dal campo. “The Hammer”, come lo avevano ribattezzato per la potenza del suo braccio, è stato per anni un esempio. Ma oggi il martello è fermo, in officina. E nessuno sa se tornerà a colpire. “Matteo deve fare un check completo, fisico e mentale. Deve chiedere aiuto, se serve. Capire dove e quando si è spento l’interruttore”, scrive l’ex Davisman. Perché il talento non si discute, ma il tennis ad alto livello è prima di tutto una questione mentale. E se non si fa pace con sé stessi, con le scelte sbagliate, con i tagli difficili, anche il corpo smette di rispondere. Il tennis è dopamina, è costante dedizione, sacrificio, ed è proprio per questo che l'allenatore è ben oltre chi ti fa lavorare sul dritto e sul rovescio, è colui che ti raccoglie e ti instrada nei momenti di difficoltà. È colui che capisce quando sei sul punto di mollare. È il tuo punto di riferimento in un mondo egoriferito in cui i propri desideri e le proprie necessità vengono spesso sorpassate e surclassate dalla costante smania di successo.
P.s. Il tennis è un’altra storia, lasciate le solite frasi e chiacchiericci da ombrellone sulla fidanzata di turno al gossip. Chi insinua o pensa che sia un flirt a distrarlo crede che un professionista sia così cretino da giocarsi una carriera così?