Non si sono mai sopportati. Lewis Hamilton e Fernando Alonso sono stati gli avversari da manuale della Formula 1 moderna: imprendibili e ingovernabili da compagni di squadra, difficili anche lontani negli anni, nei successi, nelle posizioni in griglia di partenza. Si sono incrociati in quella prima stagione, l'indimenticabile 2007, all'esordio della giovane promessa inglese tra le antipatie dello spagnolo, i dubbi della McLaren, le difficoltà di chi ha provato senza successo a far convivere fuoco e acqua, terra e cielo.
Hanno iniziato la loro storia da avversari dividendo il box, gli uomini, le ambizioni e le possibilità e poi, per i sedici anni a venire, hanno continuato lungo la loro strada dividendo poco altro: mentre Lewis Hamilton conquistava titoli iridati in Formula 1, Fernando Alonso faticava nelle retrovie, sfortunato e sprecato dentro a una carriera che lo ha visto collezionare scelte sbagliate, monoposto non competitive, litigi e passaggi.
E nonostante la lontananza di una vita proiettata verso due strade diverse, i due hanno continuato a guardarsi, a studiarsi, a parlare dell'altro in ogni occasione. Più spinoso Alonso, complice una carriera più complessa che ne ha accentuato i nervi scoperti, restituendoci per molte stagioni il lato più amaro del suo carattere: "Hamilton guida bene solo perché ha la macchina più forte" lo abbia sentito dire. "Chiunque al suo posto avrebbe vinto quanto lui" o ancora "non sa partire a metà griglia, sa farlo solo quando è davanti a tutti" e così via, per anni di battibecchi, di insinuazioni, di piccole vendette lasciate al vento.
Lewis ha sempre risposto poco, qualche battuta qua e là e negli anni. Caratteri diversi, certo. Tempi, posizioni, ruoli diversi. Eppure hanno continuato a studiarsi, consapevoli di dividere qualcosa sotto pelle, dentro a tutte quelle diversità che li hanno tenuti lontani, mai amici. Qualcosa che non scegli, che assomiglia ai tratti che ti crescono dentro, che hai e basta. "Le corse sono nel nostro DNA, nel nostro sangue, e non lavoriamo certo meno ora rispetto a quando eravamo più giovani" ha dichiarato recentemente Lewis, provando a spiegare le somiglianze che lo legano ad Alonso.
Roba di DNA, di profondità aggrovigliata. Cose che stanno lì anche quando non le vuoi, anche in quel 2007 maledetto per entrambi, che più diversi non avrebbero potuto dirsi, descriversi, volersi. Ma già si assomigliavano allora anche se non lo sapevano ancora. Già il DNA dei campioni, di chi per avere tutto è disposto a tutto, era lo stesso.
Il giorno in cui l'hanno capito è stato il più basso, il più assurdo di tutta la carriera e la vita di Lewis Hamilton. Lui che ha distrutto ogni record, che ha trovato la fortuna di una squadra vincente, la costanza dei campioni, lui che proprio nel giorno in cui avrebbe potuto portare a casa l'ultimo grande traguardo - l'ottavo titolo mondiale - ha perso tutto. Quel giorno Fernando Alonso, che con le sconfitte e delusioni ha forgiato la durezza del suo carattere, lo ha visto finalmente simile a sé. Umano nella tristezza di quei secondi destinati sempre e solo ad essere primi.
E lì, ad Abu Dhabi 2021, si è avvicinato a Hamilton. A raccontarlo lo stesso Lewis: "Fernando si è avvicinato al mio box, mi ha abbracciato e ha detto: ‘So come ci si sente, sono stato nella tua stessa situazione tre volte, hai fatto tutto molto bene, Lewis. Non hai nulla da rimproverarti. Non hai sbagliato niente".
Tutto bene, niente da rimproverarsi. In una vita dedicata alla velocità, in una storia che li ha visti sempre, nonostante tutto, protagonisti. E che ora, come un cerchio che si chiude, ce li fa ritrovare ultimi leoni della vecchia guardia ancora in Formula 1, su monoposto finalmente non così diverse, in momenti simili della loro carriera. "Mi piacerebbe ritirarmi nello stesso momento di Hamilton - ha confidato il pilota spagnolo - sarebbe fantastico". Eh sì, Fernando. Sarebbe fantastico per davvero.