Nel giorno in cui avrebbe compiuto 74 anni l'assenza di Niki Lauda si fa sentire, dentro e fuori dal circus di una Formula 1 che sempre meno assomiglia a quella del suo passato, più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
Il ruolo in Mercedes, quello di un super-consulente che nel periodo del suo ingresso nel team fece storcere il naso a molti puristi del paddock, ora è una figura che i team avversari ricercano con ossessione, tra rumors mai confermati, come il chiacchierato arrivo di Flavio Briatore in Alpine, e operazioni non andate a buon fine, come quella di uno storico ritorno di Jean Todt in Ferrari.
E mentre gli altri cercano di fare ciò che Toto Wolff e Niki Lauda fecero per primi, il paddock si divide tra lotte sociali al grido di "We race as one" e operazioni politiche pensate al solo fine di riempire le tasche di Liberty Media e permettere al baraccone della Formula 1 di andare avanti. Così il pubblico e gli addetti ai lavori protestano perché "no, i paesi arabi no" e "no, gli Stati Uniti troppo presenti no", cercando inutilmente di salvare quel volto europeo-centrico che la Formula 1 è destinata a perdere.
E mentre ce la si prende con Liberty Media e FIA (imbrogliona, mafiosa, pagata e chi più ne ha più ne metta) anche i piloti portano la loro croce. Nell'epoca del "non si può dire più niente" sembra infatti che tutti si sentano liberi di dire tutto, passando dagli insulti a chi - negli ultimi due anni - ha scelto di non inginocchiarsi sulla griglia di partenza per il Black Lives Matter, fino ad arrivare a chi, per poter correre in Formula 1, ha portato soldi alla propria scuderia.
L'enfasi e la cattiveria con cui viene trattato lo storico tema dei piloti paganti in Formula 1 tra i fans più giovani della categoria, fa pensare che si tratti di qualcosa di nuovo, un'ingiusta deriva che questo sport sta subendo nel corso degli ultimi anni, ma "la valigia" nella classe regina delle quattro ruote e in molte delle altre categorie del motorsport, è sempre stata presente, fin dalla nascita della classe.
E servirebbe Niki Lauda, con quell'ironia pungente e i modi bruschi, austriaci, a ricordare a tutti che anche i migliori, anche chi ha poi potuto dimostrare il proprio valore, sono dovuti scendere a compromessi. Pensate a un tre volte campione del mondo che per la Formula 1 ha dato tutto, compreso il proprio volto e il dolore più grande della sua vita, quando parlate di piloti paganti perché anche Niki Lauda è stato "uno con la valigia" all'inizio della propria carriera.
Disposto a rinunciare a tutto, a mettere ogni cosa sul piatto, pur di dimostrare il proprio talento. Lasciò l'Università, fece un enorme torto alla propria famiglia, composta da ricchi banchieri viennesi, e iniziò a chiedere prestiti per dare un senso alla propria passione per il mondo delle auto. Quando la propria carriera si arenò, prima dell'ingresso in Formula 2, Niki chiese un enorme prestito bancario, garantito anche da una polizza di assicurazione sulla vita, e venne preso nel team March in F2.
Una storia di determinazione e passione che ci dice molto di ciò che sappiamo e ciò che non capiamo di questo strano universo della velocità. Una storia che Lauda raccontava con orgoglio, senza la vergogna che sembrano doversi portare addosso i giovani piloti paganti arrivati oggi in Formula 1. Una storia che potrebbero essere mille, dagli accordi politici del circus negli anni 70 ai compromessi etici chiesti ai piloti per questioni economiche. Una storia di cui avremmo bisogno oggi, oggi che Niki Lauda avrebbe compiuto 74 anni.