Sul gradino più alto del podio, il suo, Max Verstappen dimostra per pochi minuti l'età che ha. Venticinque anni, ventisei il prossimo settembre, per un ragazzo che corre senza rivali verso il terzo titolo mondiale di Formula 1 in carriera. Sul volto le righe evidenti, lasciate dalla pressione del casco e della balaclava, sono l'unico segno di uno sforzo appena concluso che non sembra, altrimenti, portarsi addosso.
È rilassato, con il mento spinto in alto di chi sa che quella posizione - sul tetto del mondo del motorsport - è ciò per cui ha lavorato tutta la vita. Ed è lì che, più che in ogni altro momento nei lunghi fine settimana di gara di questo mondiale segnato dal suo dominio, ha davvero l'aspetto di qualcuno che ancora non possiamo capire.
Come se guardandolo vedessimo solo una parte di lui, di chi è stato per arrivare dov'è, di che cosa sta raggiungendo oggi, distruggendo record su record, dominando uno sport che rischia la noia assoluta a causa della sua superiorità, e di chi probabilmente un giorno sarà. Lo guardiamo e vediamo il Max Verstappen di adesso, quello che ha più nemici che tifosi, quello che ha mosso un popolo intero ma che, allo stesso tempo, viene accusato di aver "rovinato questo sport", prendendosi tutto senza lasciare niente agli altri, neanche le briciole.
Perché quando sei il migliore, il sovrano di un preciso momento storico, accetti silenziosamente un ruolo che nessuno vorrebbe avere. Quello del più odiato. Così è stato negli anni d'oro di Michael Schumacher, Sebastian Vettel, Lewis Hamilton e molti altri prima di loro. Con questa consapevolezza Vettel fece i conti proprio grazie a Schumacher, suo mito e mentore, che nei giorni più felici dei suoi primi successi con Red Bull gli disse di accettare chi lo criticava perché un giorno anche quello gli sarebbe mancato.
E con il mento in alto dal gradino del podio riservato ai vincitori, Max Verstappen ha l'aspetto di chi anche con questo ha già imparato a fare i conti. Lui che durante una stagione perfetta come quella che sta vivendo, riesce comunque a pretendere di più, da sé stesso e dal suo team, riesce ad arrabbiarsi per ogni singolo piccolo errore, a bisticciare con il suo ingegnere di pista, ad essere aggressivo e famelico e un attimo dopo, sceso dalla monoposto, a riprendere l'aspetto di un ragazzo qualsiasi.
Uno che grida via radio per avere informazioni sulla strategia del compagno di squadra e poco dopo, scaricata la tensione della pista, regala una carezza alla sorellina arrivata in Belgio per vederlo trionfare. Non c'è via di mezzo, sotto al casco di Max Verstappen. Non c'è spazio per gli altri, per chi cerca di ogni modo possibile di rosicchiare via qualcosa da quel successo senza rivali. Non c'è spazio per rilassarsi, nella testa di questo ragazzo.
Lui che con l'obiettivo di essere più grande, più forte, più veloce, è stato cresciuto. Lui che non ha avuto il tempo per fare tante cose, che è arrivato in Formula 1 a 17 anni, mentre tutti sussurravano "Non è pronto", "Si brucerà", "Non vincerà mai un mondiale con questo carattere". E sempre lui che, da lontano, li guardava alzando le spalle, sapendo che il suo momento sarebbe arrivato, consapevole che quella tensione di cui tutti parlavano, quell'ansia di essere in Formula 1 non era niente "in confronto a quello che ho vissuto con mio padre", dirà nel corso di un'intervista, raccontando la severità assoluta di papà Jos.
Cresciuto con poche carezze e tante, tantissime aspettative, Max è nato con lo spirito di chi davanti alla pressione di una vita dedita a un solo sogno non si fa mangiare, ma mangia. Ed è questa una delle cose che forse capiremo davvero di lui solo quando il tempo ce lo restituirà diverso.
Non oggi, giovane, dominante, re e rovina di una Formula 1 che porta il suo volto. Non oggi, che è dentro a quei record ogni weekend diversi, a quella storia che sta ancora capendo come scrivere. Non oggi, che nell'oggi nessun campione ha mai avuto il profilo definito, la grandezza calcolabile. Ma domani, un domani ancora lontano. Quando parleremo di lui con chi c'era, con chi non se lo ricorderà al volante, troppo giovane magari, e con chi lo avrà vissuto dagli inizi, da quella prima vittoria nel 2016, radice di ogni successo. Solo allora, guardandolo da lontano, lo vedremo tutto. E sapremo riconoscerlo.