C’era una volta il tennis, sport nobile, sospeso tra la grazia e la potenza, la tattica e l’estro. Poi è arrivata la moderna macchina da guerra del professionismo, con i suoi tribunali, i suoi processi mediatici e i suoi veleni. Oggi, Jannik Sinner ne è il protagonista involontario: prima enfant prodige, poi eroe nazionale, ora figura macchiata, prigioniero di un caso che non si chiuderà mai del tutto.
La notizia è di quelle che fanno scaturire in molti un sorrisetto (amaro o di compiacimento, a seconda dei casi): la Laureus World Sports Academy ha ritirato la nomination di Sinner come miglior sportivo dell’anno, decisione giustificata con burocratica freddezza dal presidente Sean Fitzpatrick: "Dopo le discussioni all’interno dell’Academy, è stato deciso che la nomination di Jannik Sinner per il premio Laureus come miglior sportivo dell’anno deve essere ritirata”. La motivazione? La squalifica di tre mesi per la positività al Clostebol, il cortisonico che ha accidentalmente contaminato il numero uno del mondo tramite una crema utilizzata dal suo staff medico. Il verdetto? Ufficialmente innocente, sospeso con patteggiamento ma condannato per sempre nell’arena del dibattito pubblico.
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Kyrgios gode (non avendo altro di cui godere?)
E mentre l’Italia e il mondo si dividono tra difensori e scettici, Nick Kyrgios, il bad boy del circuito, non perde l’occasione per affondare il colpo dopo il dietrofront sulla nomination ad atleta dell’anno: "Beh, voglio dire, fair play significa giocare rispettando le regole”, dopo aver commentato la notizia del patteggiamento con un "Giornata triste per il tennis. La giustizia in questo sport non esiste”. Parole al veleno, che si sommano alle teorie sulla presunta convenienza della squalifica di Sinner. Tre mesi fuori tra febbraio e maggio, ma senza perdere titoli o montepremi. Coincidenze? Il giornalista e commentatore britannico Marcus Buckland, citato da Tennis365, crede di no: "Il problema più grande per lui è il risultato finale. Il fatto che sia stato squalificato per tre mesi, tra uno Slam e l’altro, e che possa tornare a giocare proprio in tempo per Roma, nel suo paese, non lo aiuta affatto”.
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La macchia (e il doppio standard?)
Il problema è che, nel momento in cui una macchia di doping si posa sul nome di un atleta, non si cancella più. "La cosa più triste per lui è che da ora in poi questo lo accompagnerà per tutta la carriera, qualunque cosa vinca”, avverte ancora Buckland. E in un’era in cui i social media sono diventati tribunali paralleli, la vicenda si è trasformata in una battaglia di fede tennistica. Il tennis sta diventando come il calcio? Non si tifa più per il proprio idolo (o non solo), si combatte contro il nemico.
L’ombra del doppio standard, poi, aleggia minacciosa. Sinner ha convinto l’Itia della sua innocenza, ma un altro italiano, Stefano Battaglino, è stato squalificato per quattro anni sempre per Clostebol. "Battaglino è molto più indietro nel ranking, non poteva permettersi gli avvocati migliori, non ha potuto rintracciare il fisioterapista che ha fatto qualcosa di simile al team di Sinner e ora è fuori dal tennis”, sottolinea Buckland (Tennis365). E allora, c’è una giustizia per i top player e una per i gregari?
Sinner tornerà in campo a maggio, con il ranking ancora intatto, Roma ad aspettarlo e il sogno Roland Garros a portata di mano. Ma il suo più grande avversario, da oggi in poi, sarà la memoria collettiva sul caso doping. O, ancora peggio, quella selettiva.