Quindici anni fa era domenica.
Sul Grande Raccordo Anulare di Roma attorno alle sei del pomeriggio c’era il delirio. Ma diversamente dal solito era un delirio gentile. Un delirio bello. Un delirio che nascondeva speranza e felicità. Speranza per quello che sarebbe potuto arrivare di lì a poco e felicità per il poter essere lì in quel momento ad aspettare l’evento. Pure con 36 gradi, fermo e circondato da automobili e bandiere davanti al McDondald’s sull’uscita Ardeatina del GRA.
Quindici anni fa era domenica. In radio spopolava Tiziano Ferro con Stop! Dimentica, ma pure Checco Zalone con la canzone / parodia / tormentone Siamo una squadra fortissimi. Roger Federer quel pomeriggio aveva appena vinto il suo quarto Wimbledon. Wikipedia mi ricorda anche una cosa apparentemente sciocca, ma dentro la quale voglio leggere un significato ancestrale.
Quindici anni fa, mentre succedevano tutte queste cose che vi ho appena raccontato la Microsoft decideva di interrompere supporto ed assistenza per Windows 98, che detto tra noi è stato un fantastico sistema operativo, ma qui la questione è un’altra. Vi ricordate come erano finiti i mondiali dell’Itala nel 1998? Quarti di finale, contro la Francia, calci di rigore: eliminati. Legami col 1998? Eliminati. Prima della finale con la Francia che terminerà ai rigori.
Quindici anni fa era domenica. E si sapeva quello che stava per succedere, ma non si sapeva quello che sarebbe stato. L’aria era elettrica ma c’era anche un clima di dismissione che aleggiava nell’aria. Comunque sarebbe andata, ci sarebbero stati degli addii, su tutti quello del Ct Marcello Lippi e di Francesco Totti. Avevano dichiarato che quella con la Francia sarebbe stata la loro ultima partita in azzurro e forse in quella dichiarazione/promessa (mantenuta poi col tempo solo da Totti) c’è stato anche del prezioso romanticismo. Dopo il grave incidente di pochi mesi prima, solo un matto come Totti avrebbe pensato di poter giocare e vincere un mondiale e solo un matto come Lippi avrebbe dichiarato pubblicamente in mondovisione che avrebbe aspettato Totti fino all’ultimo secondo utile. Un patto di sangue tra i due siglato il giorno dopo l’intervento che di fatto riattaccò con un paio di dozzine di viti la caviglia del 10 azzurro al resto del corpo.
C’era Pessotto in ospedale dopo aver tentato il suicidio, c’era l’esplosione di Calciopoli, si parlava di serie B per la Juve, di scudetto per l’Inter, di penalizzazioni per tante altre squadre. La spedizione azzurra in Germania era però una bolla di sicurezza. Impenetrabile e inespugnabile. Tutti sapevano che lì dentro, fino alla fine, ci sarebbe stato spazio solo per pensieri belli. La fine di un’epoca era dietro l’angolo, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo o ammetterlo.
Finché non scoppia la bolla il tempo resterà immobile.
Giorni fa parlavo con un giornalista di un noto quotidiano nazionale che mi ha detto una cosa vera e spiazzante: paradossalmente l’Italia di Mancini è andata oltre le aspettative perché questa era una nazionale che avrebbe dovuto arrivare al picco nel 2022 per i mondiali in Qatar. E ora è un guaio perché si sono alzati paletti e aspettative.
Ma ora qualcuno si sentirebbe davvero di dire no grazie, abbiamo scherzato? Nel 2006 eravamo al capolinea. Qui siamo ancora all’inizio e la voglia è tanta. Di vincere, di tornare a fare cose belle e normali come bere una birra davanti alla tv circondato dai tuoi amici. Per esempio.
Quindici anni fa era domenica e io mi ricordo solo di aver parlato col televisore e mentre De Rossi camminava dal centrocampo verso il dischetto io ripetevo come un mantra: andavamo a scuola insieme, non puoi sbagliare. Andavamo a scuola insieme, non puoi sbagliare. Andavamo a scuola insieme, non puoi sbagliare. Andavamo a scuola insieme, non puoi sbagliare. E poi il gol. Un destro sotto l’incrocio dei pali per la storia del glorioso Liceo Scientifico Federigo Enriques di Ostia e pure per la storia della nazionale. E poi il resto. Del Piero, Grosso e il dio del calcio, il dio dei sistemi operativi, Bill Gates e Windows 98, Tiziano Ferro e Checco Zalone, Marco Civoli, Caressa&Bergomi, cieli azzurri sopra Berlino e abbracciamoci forte e vogliamoci tanto bene. Tutti insieme per una volta a pensare a quanto è bello vincere e scoprirsi Paese per strada a festeggiare. La gioia. La felicità e nessuno che si domandava in quel momento cosa sarebbe stato del calcio italiano il giorno dopo o di quando saremmo tornati a gioire un’altra vota. Quindici anni fa a un orario imprecisato della notte romana c’era solo una certezza che emergeva tra sudore e la gioia: non era più domenica. La bolla di protezione era esplosa e il mondo aveva ripreso a girare. Eravamo Campioni del mondo e forse molti di noi erano appena diventati adulti.